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La Striscia di Gaza è governata da Hamas, un’organizzazione islamista con un’ala miliziana la cui missione è opporsi all’occupazione israeliana dei palestinesi. È un’organizzazione politica salita al potere dopo le elezioni del 2006, che non ha più molto consenso, ma che compensa questa mancanza con la preparazione militare della sua milizia. Tutti i partiti politici in Palestina hanno una milizia, ma quella di Hamas è la più addestrata. Il 7 ottobre il Hamas ha fatto partire un attacco terroristico in grado di abbattere il muro di confine che circonda la striscia di Gaza, uccidendo 1400 israeliani, riuscendo a fare prigionieri 229 ostaggi. Si tratta del più grande attacco mai portato avanti dal gruppo di Hamas, che ha avuto come conseguenza l’inevitabile contrattacco di Israele nella striscia di Gaza. La storia ci insegna che combattere il terrore con la stessa moneta non è mai stata la soluzione, ma il governo di Netanyahu, forse anche condizionato dalla pressione dell’opinione pubblica, ha deciso di porre fine all’esistenza di Hamas, provocando una guerra senza esclusione di colpi. Rispondere con l’orrore significa scendere allo stesso livello di un gruppo terroristico, pur sapendo che un gruppo terroristico non deve giustificare le sue azioni mentre uno Stato democratico e un membro della Nato deve farlo, anche agli occhi degli alleati che rischia di allontanare con l’indignazione del mondo occidentale. In un mese sono morti lo stesso numero di civili che sono morti in due anni di guerra in Ucraina. Biden nel suo intervento ha ricordato gli errori degli Stati Uniti in risposta all’attacco delle torri Gemelli, esortando il governo israeliano a stare molto attento ad entrare in un conflitto di cui non si ha l’idea di cosa ne sarà a guerra conclusa. Israele invita i palestinesi all’evacuazione verso sud poiché la Striscia di Gaza continuerà ad essere oggetto di bombardamenti, ma la popolazione non può superare i confini meridionali, dato che l’Egitto ha ribadito che non farà entrare nessuno. L’unico passaggio per arrivare in Egitto è il check point di Rafah, uno dei sei presenti nella striscia di Gaza, l’unico a Sud. I check point sono gli unici punti di accesso per far transitare gli aiuti umanitari, poiché la Striscia di Gaza è circondata da barriere e recinzioni. La Striscia di Gaza è una delle zone più densamente abitate al mondo, con una popolazione complessiva di 2,2 milioni di abitanti; attorno all'area urbana di Gaza City vivono circa 650.000 persone. Se si contano anche i rifugiati palestinesi nei due campi profughi nei pressi della città, la popolazione complessiva sale a 1,8 milioni per una densità di 8000 abitanti per chilometro quadrato. Se Israele invadesse la striscia troverebbe davanti a sé un territorio troppo urbanizzato, pieno di macerie, condizioni che renderebbero difficile l’avanzata via terra. I massicci bombardamenti israeliani ad oggi hanno raso al suolo la metà degli edifici di Gaza city, riducendo gli abitanti a vivere senza energia elettrica, acqua e cibo. La striscia di Gaza è una prigione a cielo aperto in cui si muore di fame. L’evento che ha fatto di nuovo precipitare il conflitto nell’attacco del 7 ottobre non è chiaro, ma il recente avvicinamento tra Israele e Arabia Saudita ha fatto la sua parte. Infatti, la Palestina è appoggiata dai Paesi arabi a maggioranza musulmana, alcuni in maniera netta (Iran, Libano, Qatar), altri in maniera più velata, criticando le politiche di Israele, pur mantenendo dei rapporti con esso. È il caso dell’Egitto e della Giordania, ma più recentemente anche di Emirati Arabi, Bahrein, Marocco e Sudan. L’Iran, che lotta con Israele per l’egemonia nel Medio Oriente, finanzia gruppi di milizie e governi anti-Israele in tutta la regione. Questo sostegno attraverso armi e denaro ha creato un fronte chiamato “asse della resistenza”. Un’asse che si oppone non solo ad Israele, ma anche al suo più grande alleato: gli Stati Uniti. In questo asse della resistenza rientrano sia il gruppo di Hamas che il gruppo di milizie di Hezbollah, che attacca il confine settentrionale di Israele con il Libano. Questa escalation potrebbe sfociare quindi in una guerra su due fronti, che potrebbero diventare addirittura tre con le tensioni in Cisgiordania, in cui vi è l’occupazione di Israele. Quindi, se Israele invaderà la Striscia di Gaza con un attacco massiccio dovrà tenere a mente l'ipotetica risposta libanese dal confine nord. Tuttavia, l’escalation di una guerra su vasta scala non conviene a nessuno, tantomeno all’Iran: infatti, quando le truppe israeliane hanno invaso Gaza, Hezbollah non ha risposto con un’avanzata da nord perché non ha alcun interesse di attaccare il Libano e coinvolgerlo in una guerra. La situazione però resta delicata, con l’urgenza di trovare al più presto una tregua.
di Daniele Leonardi
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