La guerra dei droni
- Dettagli
- Creato Giovedì, 28 Dicembre 2023 09:30
- Ultima modifica il Martedì, 02 Aprile 2024 07:32
- Pubblicato Giovedì, 28 Dicembre 2023 09:30
- Visite: 161
Che ne sarà di Zelensky?
- Dettagli
- Creato Sabato, 23 Dicembre 2023 09:28
- Ultima modifica il Martedì, 02 Aprile 2024 07:29
- Pubblicato Sabato, 23 Dicembre 2023 09:28
- Visite: 172
Gaza: l’accordo che controlla la narrazione
- Dettagli
- Creato Mercoledì, 13 Dicembre 2023 09:23
- Ultima modifica il Martedì, 02 Aprile 2024 07:24
- Pubblicato Mercoledì, 13 Dicembre 2023 09:23
- Visite: 172
L’informazione che circola a Gaza è un problema: da un lato si tende a non fidarsi ciecamente dal numero delle persone uccise fornito dal Ministero della Salute di Gaza, cioè Hamas, dall’altro le autorità israeliane hanno imposto un rigido controllo sui giornalisti internazionali che entrano a Gaza, peggiorando la credibilità di Israele agli occhi dell'opinione pubblica. Un accordo di 12 pagine stabilito tra le autorità israeliane e alcune testate internazionali con cui Israele impedisce alla stampa indipendente di accedere alla Striscia di Gaza, sostenendo di non poterne garantire la sicurezza. Secondo TPI, tra i media firmatari ci sarebbero: Cnn, Abc, Nbc, Channel 4, New York Times e Fox News. L’unica testata italiana sarebbe Repubblica. A confermarlo è stata Francesca Mannocchi in un’intervista rilasciata a Rai Tre, in cui la la reporter freelance ha denunciato le condizioni in cui i giornalisti di tutto il mondo sono costretti a lavorare: “Gli accessi sono stati limitati a due/tre giorni in cui alcune testate internazionali tra cui una italiana hanno potuto avere accesso per pochissime ore alla Striscia di Gaza, firmando un accordo con le forze israeliane lungo 12 pagine in cui sostanzialmente noi giornalisti siamo chiamati a far vedere e revisionare sia i nostri articoli scritti sia le immagini filmate all’interno della Striscia. E non è stato naturalmente possibile per nessuna troupe internazionale poter parlare con civili palestinesi”. Questo accordo, quindi, prevede che i giornalisti e i loro operatori possano entrare a Gaza ma senza circolari liberi per questioni di sicurezza, e con l’obbligo di sottoporre tutto il materiale del girato alla visione dell'esercito, il quale avrebbe poi la facoltà di decidere o meno la pubblicazione dello stesso. Le testate hanno tutto l'interesse a documentare anche se parziali ma è giusto chiedersi la validità di questi reportage dopo aver firmato un accordo così vincolante, in cui una delle parti in causa controlla la narrazione. Il rischio è che i reporter diventino semplici portavoce dell’esercito israeliano, trasformando l’informazione in propaganda. Sul fronte però ci sono anche reporter palestinesi che riescono a documentare in maniera egregia e coraggiosa il conflitto: è il caso, ad esempio, di Matoz Azaiza, il reporter che racconta su Instagram i bombardamenti e il massacro nella Striscia di Gaza. Il suo profilo ha superato i 7 milioni di follower, i suoi contenuti sono ripresi dai media di tutto il mondo. SI tratta di un fotografo freelance che lavora per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA, The United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East). Matoz Azaiza è uno dei reporter più seguiti perché è sul campo, ma non è l’unico a raccontare da dentro la guerra, ci sono tanti altri giornalisti, reporter e creator digitali: Ahmed Hijazi, Mahmoud Zuaiter, Anadolu Ali Jadallah e Ali Nisman, morto in un bombardamento il 13 ottobre. Secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ),Comitato per la Protezione dei Giornalisti, in due mesi di guerra, cioè dall'inizio del conflitto, almeno 63 tra giornalisti e operatori hanno perso la vita; secondo i dati forniti da Freedom Forum, si tratta della stessa cifra dei giornalisti deceduti nei 10 anni di guerra in Vietnam e molto vicina al numero di quelli uccisi nella Seconda guerra mondiale (69).
di Daniele Leonardi
Storia recente di una prigione a cielo aperto
- Dettagli
- Creato Sabato, 16 Dicembre 2023 07:19
- Ultima modifica il Martedì, 02 Aprile 2024 07:19
- Pubblicato Sabato, 16 Dicembre 2023 07:19
- Visite: 164
La nuova guerra fredda dei microchip
- Dettagli
- Creato Sabato, 09 Dicembre 2023 09:13
- Ultima modifica il Sabato, 09 Dicembre 2023 09:13
- Pubblicato Sabato, 09 Dicembre 2023 09:13
- Visite: 168
«Gli Stati Uniti devono guidare il mondo nella produzione dei microchip». Questa è stata la dichiarazione di Trump nell’agosto 2022durante l'evento che ha visto la partecipazione degli amministratori delegati di Micron, Intel, Lockheed Martin, HP e Advanced Micro Devices. Il primo chip semiconduttore fu inventato negli anni’50 da ingegneri statunitensi e consisteva in un pezzo di silicio con quattro transistor su di esso. Maggiore è il numero dei transistor, più potente è il chip. Negli anni successivi, a partire dagli anni’60, gli ingegneri avevano già realizzato un chip con quattro volte il numero dei transistor precedenti. Il fondatore di Intel, Gordon Moore, predisse con successo nel 1965 che la potenza di calcolo prodotta da un singolo chip sarebbe raddoppiata ogni anno. Un tempo gli Stati Uniti non avevano bisogno di far molto per difendere la scoperta dei suoi scienziati. Nella California centrale, una valle avrebbe preso il nome dal materiale che avrebbe dato il via alla nuova era tecnologica: Silicon Valley. Gli Stati Uniti vogliono tornare a produrre i semiconduttori autonomamente, tuttavia, non esiste un’azienda, e quindi un Paese, autonomo nella produzione dei microchip: l’industria dei semiconduttori ha una catena di approvvigionamento complessa, vi è bisogno di aziende che si trovano in Stati Uniti, Olanda, Corea del Sud, Taiwan e Giappone. Potremmo semplificare la catena di produzione dei chip dicendo che: gli Stati Uniti producono le macchine, il software e i progetti; il Giappone produce metalli e prodotti chimici peri trucioli, i Paesi Bassi producono la macchina laser UV per scolpire i trucioli e Taiwan produce i chip nei FABS. ossia, stabilimenti di produzione di microchip. Nel 1987, per contrastare la corsa al silicio del Giappone, il governo statunitense impose una tassa del 100% sui chip giapponesi importati in USA. Poi c’è il Taiwan, il cui governo decise di richiamare i suoi ingegneri che lavoravano per aziende statunitensi per creare una propria Silicon Valley. L’obiettivo del governo di Taiwan non era competere con gli Stati Uniti ma diventare centrali nel processo di creazione, specializzandosi in una mansione in cui gli USA erano carenti: i Fabs. Taiwan creò una società a capitale statale, la «Taiwan Semiconductor Manufacturing Company» (TSMC). Questo accordo è stato vantaggioso per gli Stati Uniti poiché ha permesso loro di concentrarsi solo sulla parte di sviluppo e progettazione, malo è stato ancora di più per Taiwan perché ha stretto un’alleanza con gli Stati Uniti, fondamentale in vista della sempre minacciosa avanzata cinese, facendo entrare a pieno titolo i semiconduttori nel quadro geopolitico. Il 92% di questi chip è realizzato a Taiwan, l’8% in Corea del Sud. I transistor sono diventati la base per quasi tutti i dispositivi elettronici. Ma non è solo una questione tecnologica: tutte le industrie utilizzano la tecnologia a transistor nella vita quotidiana. L’amministrazione Biden ha inserito restrizioni senza precedenti alle esportazioni di tecnologie software e macchinari statunitensi utilizzati per produrre chip, vietando alle aziende di qualsiasi parte del mondo di venderli alla Cina. L’obiettivo degli USA è estromettere la Cina nella catena di approvvigionamento dei microchip più avanzati per rallentarne il progresso tecnologico, il che potrebbe impattare nel tempo anche su altri settori strategici della ricerca scientifica come quello dell'intelligenza artificiale applicata al comparto militare su cui il governo cinese sta puntando molto. La tecnologia a uso civile e militare su cui gli americani non vogliono che la Cina metta le mani sono i super chip utilizzati per le applicazioni più avanzate dell'intelligenza artificiale. Nel 2021 il Washington Post ha riferito che la Cina stava costruendo laboratori di ultima generazione per testare armi di grande portata, comprese quelle nucleari, e per farlo utilizzava la tecnologia americana dei semiconduttori. Il paradosso è che le aziende americane vendevano chip e software ad aziende cinesi che permettevano non solo l’avanzamento tecnologico cinese, ma fungevano da copertura per il progresso tecnologico dell’esercito. La goccia che ha fatto traboccare il vaso e infuriare gli Stati Uniti è stata la presentazione di un test di lancio di una testata nucleare cinese attraverso un sistema missilistico ipersonico, che gli USA non solo non erano in grado di replicare, ma nemmeno di rintracciarlo nei radar. La tecnologia cinese è riuscita a superare quella americana grazie alla stessa tecnologia americana dei microchip. Da qui, la decisione di Bidendi vietare la vendita di microchip alla Cina. Una decisione che potrebbe avere anche un secondo risvolto: potrebbe rappresentare una mossa preventiva per svincolarsi dall’alleanza con Taiwan, preparandosi a fare a meno dei suoi FABS. Attraverso il chips Act, infatti, il governo ha stanziato miliardi di dollari alle aziende statunitensi di microchip per creare questi stabilimenti negli USA. In questo modo Taiwan, che si trova nel fuoco incrociato tra Cina e Stati Uniti, si ritroverebbe solo contro la minaccia cinese. Tuttavia, nella visita di Nancy Pelosi a Taiwan, evento cheha fatto inasprire i rapporti con la Cina e ha permesso alla Speaker della Camera USA di visitare la TSMC, la terza carica dello Stato americano ha ribadito il sostegno statunitense a Taiwan. Anche Biden in risposta all'esercito cinese che ha circondato Taiwan con esercitazioni militari congiunte di Aeronautica e Marina dopo la partenza dall'isola della speaker della Camera Usa, ha dichiarato che gli Stati Uniti sarebbero disposti a difendere militarmente Taiwanse vi fosse bisogno. In questo scenario, però,manca un attore fondamentale: l’Europa. Al Chips Act americanoha fatto seguito l’«European Chips Act», con il quale l’Unione Europea si impegna a produrre entro il 2030 un quinto dei semiconduttori globali, sganciandosi dalla dipendenza estera ed entrando negli equilibri economici di questo settore al pari di Cina e Stati Uniti. La rivoluzione del transistor ha dato il via all’epoca moderna e a quella che potremmo definire la guerra fredda dei microchip. Gli Stati Uniti e la Cina stanno combattendo una guerra a suon di regolamenti e sanzioni per impedire al proprio rivale di prendere un vantaggio nel controllo della produzione dei semiconduttori. Non sappiamo che impatto avranno le sanzioni americani sullo sviluppo tecnologico della Cina, ma sappiamo che la guerra dei microchip stabilirà il primato di una potenza sul nuovo equilibrio geopolitico mondiale;avere il controllo della produzione dei microchip significa avere la più alta tecnologia in campo militare.
di Daniele Leonardi
Altri articoli...
Ultime notizie
- Ottobre 1943, il passaggio delle truppe tedesche e alleate lungo la Valle del Tappino (sesta parte)
- Toro piange un'innocente vittima della guerra (seconda parte)
- Toro piange un'innocente vittima della guerra (prima parte)
- Mike Colalillo eroe di guerra bojanese
- Lettera inedita di Juno Borghese dal carcere di Regina Coeli