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American Guns, quando le armi comandano

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Di eventi emblematici riguardo la  detenzione sulle armi da fuoco in America ne abbiamo tanti: dal massacro della Colombine High School nel ’99 dove morirono 12 studenti e un insegnante all’ultima strage in Texas nella quale ci sono state 25 vittime. Perché gli americani sono così ossessionati dalle armi? Facciamo un salto nel passato; nel 1776, durante la rivoluzione Americana, ci furono delle milizie che si ribellarono contro gli inglesi usando armi da fuoco basandosi sul diritto di possedere armi. Questo sarebbe il famoso Secondo emendamento il quale recita “Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto”. Bisogna considerare però che i tempi sono decisamente differenti, con armi molto diverse: allora avevano moschetti che sparavano al massimo 2 o 3 colpi al minuto, oggi abbiamo armi automatiche che arrivano a sparare anche 100 colpi al minuto. Un altro fattore è la facilità nel procurarsi armi. Infatti esse si vendono anche in delle fiere e i controlli sugli acquirenti sono effimeri. Il risultato è evidente considerando il rapporto tra armi e cittadini; 89 armi da fuco dichiarate legalmente ogni 100 americani. Non solo, la facilità con cui gli adolescenti reperiscono queste ultime è incredibile tanto da avere una media di 59 vittime in sparatorie nelle scuole. A tutto ciò si aggiungono le armi modificate, da semi-automatiche ad automatiche, capaci di sparare fino a 800 colpi al minuto tenendo premuto il grilletto rispetto ad un’arma normale che può sparare un colpo singolo. La cultura delle armi è profondamente difesa dalla lobby NRA (National Rifle Association), molto influente politicamente, che rifiuta la maggior parte delle riforme sulla detenzione di armi per evitare questi tragici eventi. Non a caso negli USA ci sono più armi che cittadini. Lo stesso Trump temporeggia su queste riforme per non intralciare gli interessi della potente  lobby: “limiti alle armi? C’è tempo … il killer è un folle molto malato” queste le parole del presidente riguardo la strage del 1 ottobre a Las Vegas. Nonostante i continui rimandi di Trump, i democratici hanno chiesto una commissione ad hoc per lavorare ad  una nuova normativa.
 
di Alice Di Domenico e Michelangelo Fanelli
 

Thomas Sankara, Africa e Libertà

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A trenta anni dalla sua morte ricordiamo uno dei più grandi rivoluzionari della storia del continente africano: Thomas Sankara. “Il fratello giusto”, così soprannominato dalla popolazione burkinabè, nacque nel 1949 e seguendo  le orme del padre, divenne militare di carriera. In breve tempo  all’interno della mente del giovane ufficiale iniziarono ad annidarsi idee socialiste. Il 4 agosto 1983, il trentacinquenne Capitano dell’esercito dell’Alto Volta, tentò un golpe e grazie al supporto popolare il giovane socialista si ritrovò al governo. Uno dei suoi primi provvedimenti da primo ministro fu quello di cambiare il nome della sua nazione da Alto Volta, che era un nome che sapeva ancora di colonialismo, in Burkina Faso (letteralmente “La patria degli uomini liberi”). Arrivato al governo Sankara trovò una patria dilaniata dalla povertà, dove il 98% della popolazione era analfabeta. Le sue riforme si concentrarono subito su questi aspetti. In poco tempo nazionalizzò le miniere fino ad allora in mano a multinazionali straniere, istituì presidi medici e scuole gratuite nei villaggi, piantò migliaia di alberi per far fronte alla desertificazione e diede dei tetti agli stipendi dei suoi collaboratori. Il popolo adorava questo giovane militare socialista che al contempo si fece tantissimi nemici tra cui l’elitè  politica dei paesi che lo circondavano, spaventati da possibili ripercussioni e i leaders occidentali che avevano troppi interessi per permettere il benessere nel continente nero. Il 29 luglio del 1987 in un discorso agli altri leaders africani “Il Che d’Africa” invitò a non pagare il debito dei propri paesi verso l’Occidente, affinché quei soldi servissero a risanare le proprie economie attraverso riforme sociali. Un modo per non arricchire i loro ex carcerieri che ancora oggi attraverso gli interessi delle proprie multinazionali continuano a sfruttarli. Tre mesi dopo il suo discorso anti-imperialista il 15 ottobre del 1987 venne assassinato ed il potere passò al suo vice Blaise Compaorè, che governò con il bene placito dell’Occidente per 27 anni. Le riforme di Sankara vennero revocate ed il Burkina Faso ritornò a livelli di arretratezza, con un alto tassi di povertà e disuguaglianza sociale che ancora oggi lo contraddistinguono. Conoscere la storia di Sankara ci serve a capire le condizioni odierne del continente nero, il perché di tutta quella povertà, di tutti quei conflitti.

di Michelangelo Fanelli

La Catalogna ad un bivio

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Negli ultimi giorni si è sentito molto parlare dei disordini avvenuti in Catalogna, provocati dalla volontà di quest’ultima di rendersi indipendente e non essere più assoggettata al governo di Madrid. Notizia che ha causato non poco scalpore tra la collettività Europea, soprattutto dopo la violenta reazione da parte della cosiddetta “Guardia Civil” ovvero la polizia spagnola che risponde direttamente al governo centrale.  Ma a cosa è dovuta questa, apparentemente improvvisa, onda patriottica da parte dei cittadini catalani? Partendo dal principio, la Catalogna è una comunità spagnola che gode di una certa autonomia. Di conseguenza l’area possiede un proprio parlamento ed un proprio governo, con a capo il presidente. Nonostante, però, ci sia un’ampia autogestione, la comunità risponde ugualmente all’ordinamento giuridico nazionale ed alla corte costituzionale. Ciò che però rende davvero importante la regione è l’enorme quantità di ricchezza che viene prodotta al sui interno, infatti oltre un quinto del PIL spagnolo deriva dalla Catalogna, con un valore pari a circa 200 miliardi di euro ed oltre 600mila imprese attive, numeri paragonabili a quelli del solo Portogallo. Ma i dati positivi non sono finiti. Le esportazioni sono in aumento dal 2003 arrivando fino al 35% del prodotto interno lordo con il solo settore industriale che risulta presente per oltre il 21% della ricchezza totale, addirittura più della Spagna. Sono anche aumentati i posti di lavoro con costante diminuzione della disoccupazione giovanile. Insomma un vero e proprio modello economico che punta prevalentemente al settore dei trasporti, chimico ma anche farmaceutico. È osservabile però che anche il debito pubblico è cresciuto, seppur in misura proporzionale, per oltre tre volte la media europea. Ed è qui che gran parte del popolo si è accorto dell’autosufficienza della propria regione arrivando più volte a chiedere e manifestare per la sua indipendenza e facendo leva sulla motivazione secondo la quale potrebbero gestire e reinvestire autonomamente i ricavi provenienti dalle proprie imprese piuttosto che versarli al fisco spagnolo. A questo punto, dopo molte proposte arrivate dal governo catalano e respinte dal governo centrale, il 9 giugno 2017 una legge del parlamento regionale ha indetto un referendum di indipendenza di natura vincolante da svolgersi il primo ottobre dello stesso anno. Veloce e schietta è stata la risposta di Madrid che ha dichiarato subito anticostituzionale tale decisione, mettendo rapidamente al bando la proposta di referendum. Oltre il 42% del popolo catalano, però, non l’ha pensata allo stesso modo, decidendo lo stesso di votare andando di fatto contro gli ordini dello governo di riferimento. I risultati sono stati quelli a cui tutti hanno assistito; abuso di violenza da parte della polizia spagnola mandata direttamente da Madrid per ostacolare il voto, attraverso un uso eccessivo della forza in nome della legalità. Deludente è stato, invece, il silenzio dei vertici europei nei confronti di una così brutale reazione. Al di là dei disordini più volte condannati dall’opinione pubblica c’è da dire che molte società catalane adesso temono risvolti negativi sui proprio volumi d’affari se dovesse esserci l’effettiva secessione. Si, perché anche se il referendum è stato dichiarato illegale, il premier Catalano Puigdemont potrebbe indire una dichiarazione di indipendenza unilaterale. Il parlamento europeo prova a scoraggiare il governo regionale dichiarando che anche se ciò dovesse accadere, la Catalogna non sarà ugualmente riconosciuta come paese nello scenario internazionale. Questo però non importa alle grandi società quotate in borsa che vedono il reale pericolo di subire perdite legate ad un possibile scenario semi-indipendentista, di conseguenza grossi colossi bancari come Caixabank e Banco Sabadell, il cui valore complessivo di mercato supera i 35 miliardi, hanno chiesto di poter spostare la propria sede legale fuori dalla Catalogna. Questo ha causato un vero e proprio effetto domino, trascinando non solo il settore bancario ma anche quello industriale e dei servizi, difatti anche Abertis, società da 16 miliardi leader nei traporti, e Gas Natural, colosso dei servizi dal valore di 20 miliardi, hanno chiesto di poter trasferire formalmente la loro collocazione. Inoltre le agenzie di rating Moody’s e Fitch si preparano a tagliare il giudizio di solidità economica della Catalogna se il premier dovesse formalizzare l’indipendenza. Ciò causerebbe un sostanziale paradosso perché le ragioni per cui il popolo ha chiesto l’indipendenza non sarebbero più valide in quanto, se le società sopracitate dovessero realmente attuare una fuga di capitali, la Catalogna non potrebbe più vantare utili e risultati finora dimostrati nei confronti della Spagna.

di Gabriele Calabrese

Lo spettro che si aggira per l'Europa

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Cito Marx, ma nulla c'entra con il suo celebre aforisma tratto dal saggio del filosofo “Il manifesto del partito comunista: “Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo”. Questo nuovo “spettro” totalmente avverso all’ideale marxista è quello della pericolosa destra populista Questa nuova “peste” che tenta di penetrare la democrazia europea nata proprio per combattere queste macabre idee che hanno portato il nostro continente ad una delle le sue più grandi catastrofi (la Seconda Guerra Mondiale) ha già mietuto le sue prime vittime. In Italia si va sempre più rafforzando con personaggi che difficilmente riesco a considerare miei connazionali. In Francia, il Front Nazional è arrivato perfino al ballottaggio. In Germania, la nazione che dovrebbe avere più paura di questo flagello, nelle elezioni del 24 settembre la destra populista e xenofoba è arrivata terza dopo C.D.U. ed S.P.D. due partiti storici nella democrazia tedesca. I metodi per influenzare le masse di questi pseudo politici sono sempre gli stessi. Per esempio far leva sui lievi problemi ed elevarli a cause del malessere dello stato, come l’immigrazione che viene demonizzata oppure il cercare di trarre consenso da una sorta di nuovo sottoproletariato che non ha i mezzi per difendersi dalle loro parole e che si lascia trasportare da questi pseudo ideali o dalla parte del popolo frustrata ed amareggiata. Credo che la storia politica abbia già vissuto un periodo simile e tutti sappiamo come è andato a finire.

di Michelangelo Fanelli

Omaggio alla Catalogna

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E' opportuno citare Orwell per riportare ciò che è successo ieri nella storica regione ribelle. La Catalogna non si è mai sentita legata all’unità nazionale spagnola durante la sua storia e la sua emancipazione è stata sia repressa che autorizzata.  Ad esempio durante il franchismo la Catalogna non ha potuto nemmeno usare la propria lingua, punita a causa della sua posizione nella coalizione repubblicana durante la guerra civile. Il popolo catalano ieri, 1 ottobre 2017, si è espresso favorevolmente alla sua indipendenza con grande affluenza e partecipazione nonostante la repressione del governo centrale spagnolo. I catalani sono riusciti ad esprimere il loro diritto di voto resistendo alle provocazioni della Guardia Civil, culminate con il ferimento durante gli scontri di oltre 844 persone. Le misure adottate dal popolo per esercitare i propri diritti sono state coraggiose, piene di ideali e sogni: da coloro che hanno resistito con barricate alle cariche della polizia ordinate dal governo spagnolo a chi è andato a votare con un foglietto fatto in casa aspettando ore in fila a causa dei disagi causati dalla Guardia Civil che ha sequestrato numerose schede e seggi. La domanda ora  è che cosa succederà se il governo spagnolo non darà il consenso alla sua provincia più ricca di separarsi? Speriamo soltanto che lo spettro di una guerra non aleggi sopra la Spagna.

di Michelangelo Fanelli