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L'avanzata su Mosul

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Petrolio nelle trincee. Nubi tossiche. Donne e bambini che diventano "scudi umani". Questo è il quadro drammatico della situazione che si presenta nel nono giorno dell' offensiva anti-Isis. I jihadisti, che vedono il nemico sempre più in casa propria, cercano ogni possibile stratagemma per difendersi. Mosul, infatti, città simbolo da cui due anni fa Abu Bakr al-Baghdadi si autoproclamò califfo, è sempre meno nelle mani dei miliziani dell'Isis. La notizia del giorno, difatti, è la liberazione della cittadina di Kramlis da parte dei Peshmerga. Le milizie curde, dopo alcuni giorni di assedio, sono riuscite a riprendere il piccolo centro ad est di Mosul, favorendo ulteriormente l'avanzata lungo la direttrice orientale insieme all'esercito iracheno. L'ultimo obiettivo è quello di riacquisire il controllo sulla parte occidentale, ancora nelle mani dell'Isis. Intanto il bilancio di questa missione, secondo le stime del Ministero degli Sfollati e delle Migrazioni, è di oltre 3300 sfollati provenienti dai centri intorno a Mosul mentre le forze di sicurezza irachene affermano di aver liberato 74 villaggi e città dal controllo dei jihadisti. 772, invece, sono i miliziani dell'autoproclamato califfato che l'esercito afferma di avere ucciso nel corso delle operazioni.

di Pietro Ferretti

La lobby dei droni e la base di Sigonella

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Mentre i politici italiani pensavano a comprare gli F35, all’orizzonte si creava la lobby dei droni. L’ F-35 in Italia ha incassato un trattamento vergognosamente favorevole. Tecnologicamente e operativamente gli F-35 e i droni sono ugualmente vulnerabili. L'F-35 è inaffidabile, il pilota deve guardarsi dal suo stesso mezzo. I droni invece anticipano una guerra del futuro fatta di robot invisibili che scelgono da soli contro chi e in che modo combattere. Nella guerra all’Isis da parte degli USA, il comandante della base di Sigonella, Cristopher Dennis, sa di poter contare su una flotta aerea a disposizione non indifferente. Si tratta soprattutto di droni. Da un lato i ricognitori strategici Global Hawk mentre dall’altra parte i temibili Reaper carichi di bombe. I media non lo hanno detto ma guarda caso dopo il recente accordo tra Washington e Roma per l’impiego di droni nel territorio libico, i miliziani dell'Isis hanno ucciso due onesti tecnici italiani come riportato nell’articolo di Lettera 43 “Usa e Italia nella guerra all’Isis”. Si delinea così un quadro preoccupante con da un lato gli Usa che vogliono intensificare la lotta all’Isis in Libia e dall’altro l’Italia che teme ritorsioni sul suolo italiano. “L’Italia potrà fornire fino a circa cinquemila militari. Il sostegno degli Usa sarà l’intelligence.” Queste sono le dichiarazioni riportate al Corriere della Sera dall'ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, John R. Phillips. Washington presenta il conto per il sostegno all'Italia nella guida della coalizione anti-Isis in Libia con l’obiettivo di far nascere una nuova guerra nel modo più subdolo.

di Giorgia Gambone e Maria Chiara Chiaromonte

Armamenti italiani in Medio Oriente

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In questo periodo si sente parlare del rallentamento della crescita globale, delle turbolenze e debolezze dei mercati finanziari e di una possibile recessione. Assieme a queste ipotesi sono affiancati dati macroeconomici che evidenziano come effettivamente ci sia stato un calo nelle vendite al dettaglio, o nella fiducia dei consumatori e sulle aziende, nonché un calo dell’import/export. E proprio riguardo quest’ultimo dato, finora non si è parlato, o tenuto conto, di dati riguardanti un altro aspetto: quello delle vendite di armamenti di natura italiana in stati attualmente in guerra. In effetti si parla di numeri a doppie cifre in quanto l’export di armamenti militari italiani è salito del 16% nell’ultimo anno. Si stima che siano state spedite armi per un totale di 2,7 miliardi di euro, di cui 809 milioni in Medio Oriente e, non a caso, chi ne fa maggiore domanda è l’Arabia Saudita. Nella lista dei sauditi figurano caccia Eurofighter, missili IRIS-T che sono stati usati in Yemen per bombardare aree e strutture civili come ospedali e scuole, il tutto coronato da un ampio arsenale di bombe, veicoli e velivoli. Infatti ultimamente si è stigmatizzato sulla fornitura da parte dell’Italia di armi e territori attualmente in conflitto, violando palesemente la legge 185 varata nel 1990 che vieta espressamente le esportazioni di tutti i materiali militari e loro componenti verso paesi in stato di conflitto armato. Eppure il ministro della Difesa, Roberta Pinotti continua a ribadire che è tutto regolare e che l’Italia venda armi a norma di legge. Ma per quale ragione a partire dal 2014 l’Arabia Saudita è diventato il più grande paese importatore di materiale da difesa? Il motivo sta nei disastrosi bombardamenti che il paese sta conducendo nello Yemen con l’obiettivo di fermare l’avanzata dei ribelli sciiti houthi e sostenere il presidente yemenita Mansour Hadi minacciato dalle forze sciite sopracitate, che a loro volta sono alleate con l’Iran. Insomma le nazioni europee, in primis l’Italia, possono considerarsi contributrici di quello che viene definito un “disastro umano” ed i numeri parlano chiaro, in meno di un anno sono circa 35.000 le persone rimaste uccise o ferite, in gran parte civili, senza contare gli oltre 700 bambini uccisi. Inoltre, come già detto, con gli incessanti bombardamenti vengono colpite per lo più infrastrutture sociali, spesso gestite da medici senza frontiere con l’inevitabile conseguenza che rimangano coinvolti anche quest’ultimi. Sembra, però, che giovedì 25 febbraio si sia arrivati ad una svolta, infatti la commissione europea ha votato, con 359 voti favorevoli, un embargo da porre alle armi inviate all’ Arabia Saudita invitando il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ad iniziare un percorso verso il suo concreto raggiungimento. Il provvedimento è stato preso proprio per far fronte alla chiara violazione dei diritti umani e risolvere la critica situazione in Yemen. Tra le richieste al Consiglio degli Affari Esteri ed al Parlamento Europeo vi è anche quella di sospendere immediatamente tutti i trasferimenti di armi e qualsiasi supporto militare all'Arabia Saudita e ai suoi alleati, soprattutto dopo che 26 degli Stati Membri, l’Italia fra i primi al mondo, hanno sottoscritto il trattato internazionale sugli armamenti (ATT). Inoltre il 16 febbraio un folto gruppo di persone della città di La Spezia, rappresentati da 45 cittadini firmatari, hanno presentato un esposto sulle forniture di armi ai Sauditi dando il compito ad una commissione di verificare se davvero non è stata violata la legge 185 in riferimento al fatto che tra aprile e settembre a La Spezia siano partiti verso l’Arabia Saudita armamenti e munizioni per un valore di 21 milioni di euro. Il conflitto ha avuto inizio a marzo 2015 e negli ultimi mesi sono almeno sei le spedizioni di bombe partite dalla sola Italia verso gli Emirati Arabi Uniti.

di Gabriele Calabrese

Archivio Disarmo: export armi e ruolo dell'Italia

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Quando c’è di mezzo il business nessuno si ricorda più della strage di Parigi, delle Torri Gemelle, di Al Qaeda e neppure dell’Isis. L’uso delle armi viene giustificato sostenendo che esso è finalizzato ad “esportare la democrazia” o arginare l’avanzata jihadista. Queste armi sono quasi tutte prodotte in Occidente. I settori più rappresentativi dell’attività d’esportazione sono l’aeronautica, l’elettronica per la difesa (avionica, radar, comunicazioni, apparati di guerra elettronica) e i sistemi d’arma (missili, artiglierie). L'Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (IRIAD) è riuscito a raccogliere alcuni dati e informazioni sull’export degli armamenti. L’Italia ad esempio è il secondo esportatore mondiale di armi leggere (pistole, fucili a pompa, mitragliatori, munizioni). Dai dati è emerso che tra i primi 10 posti per valore contrattuale delle operazioni autorizzate, troviamo: Agusta Westland, Alenia Aermacchi, Selex ES, GE AVIO, Elettronica, Oto Melara, Piaggio Aero Industries, Fabbrica d’armi P. Beretta, Whitehead Sistemi Subacquei e IVECO. Bisogna notare che la maggior parte di queste aziende appartiene al Gruppo “Finmeccanica”, gruppo che raggiunge il 64,69% del valore contrattuale totale delle autorizzazioni. I mezzi usati attualmente per i bombardamenti di Afghanistan, Iraq, Libia e Siria sono per lo più aerei. Si tratta di un mezzo incapace di porre fine al conflitto perché, come ribadisce  Maurizio Simoncelli, vicepresidente e cofondatore dell’IRIAD, portano alla morte di molti civili innocenti, soprattutto bambini. In un mese raid russi hanno ucciso 400 civili, di cui ben 97 bambini (dati riferiti da una Ong siriana).  Non è solo l’Europa ad essere a rischio. La strage di Parigi è stata un episodio tragico, ma va anche detto che  nel 2014 il 90% delle vittime del terrorismo sono state registrate fuori dall’Europa; ad esempio Boko Haram, l’organizzazione di estremisti islamici che opera in Africa, ha fatto vittime più dell’Isis.  La situazione non è meno grave in Pakistan, dove a causa dello scontro tra musulmani moderati e musulmani estremisti  400 bambini sono stati massacrati in una scuola pakistana. In Afghanistan sono stati registrati 25mila morti di civili dall’inizio dell’intervento ad oggi. Fa riflettere la dichiarazione lasciata da Simoncelli durante un’intervista: “L’Occidente si pone il problema delle sue vittime, ma non si pone il problema delle ‘vittime di serie B’ degli altri paesi”. Una frase tanto cruda quanto vera.

di Simona Bitri

Abbiamo tutti armato il presunto "Stato islamico"

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Secondo Amnesty Internetonial in questi decenni sono giunte in mani sbagliate un’enorme quantità di armi provenienti da armamenti cinesi, americani, russi e anche europei. "La quantità e la varietà delle armi usate dal presunto 'Stato islamico' è l'esempio da manuale di come commerci irresponsabili di armi alimentino atrocità di massa" - ha dichiarato Patrick Wilcken, ricercatore dei controlli sulle armi. “La scarsa regolamentazione e la mancata supervisione sull'immenso afflusso di armi in Iraq a partire da decenni fa sono state la manna dal cielo per il presunto 'Stato islamico' e altri gruppi armati, che si sono trovati a disposizione una potenza di fuoco senza precedenti"- ha commentato Wilcken. Quando lo Stato Islamico ha conquistato Mosul, la seconda città dello stato iracheno, è entrato in possesso di un armamento formidabile e di veicoli da guerra di produzione euro-americana. La conquista di Mosul e le sue armi ha comportato la riuscita di attentati, stupri, razzie, torture e rapimenti. Negli anni ’70 e ’80 durante la guerra contro l’Iran, almeno 34 paesi fornirono armi all'Iraq, ma 28 di questi le inviarono anche all'Iran. Dopo il 1990, quando l’Iraq invase il Kuwait e il 2003, quando ci fu la diretta invasione statunitense, l’embargo di armi irachene crebbe enormemente.  Alla fine del 2014, erano state inviate munizioni e armi leggere per un valore di 500 milioni di dollari. Le forniture sono proseguite, nell'ambito del Fondo del Pentagono per l'equipaggiamento e l'addestramento dell'Iraq (valore: 1,6 miliardi di dollari), comprendendo tra l'altro 43.200 fucili M4. Amnesty International ha richiesto a tutti gli stati di stabilire un embargo totale nei confronti del governo siriano e dei gruppi armati d'opposizione implicati in crimini di guerra, crimini contro l'umanità e altre gravi violazioni del diritto internazionale. Gli stati dovranno inoltre autorizzare i trasferimenti solo dopo aver compiuto un rigoroso accertamento dei rischi. Infine il rapporto di Amnesty International, come sottolineato anche da Rete Disarmo, ha evidenziato come anche l'Italia possa aver giocato un ruolo non indifferente nell'armare lo "Stato islamico", rifornendo durante la guerra del 1980-88 sia l’Iraq che l’Iran.

di Giuseppe Terone e Andrea Chiaromonte