Embedded Agency >

Il Punto del Direttore

Dalla car intifada al tir di Nizza

Valutazione attuale:  / 0

Nuovo attacco terroristico in Francia. 84 morti a Nizza schiacciati da un tir impazzito. Purtroppo è una pratica diffusa tra i jihadisti. La mente va a quello che succede con la "car intifada" in Israele dove macchine a tutta velocità vengono lanciate sui civili. La campagna più famosa è intitolata Daes, che si traduce con “investire”. Daes è anche un riferimento a Daesh, l'acronimo in arabo di Isis. Le campagne online sono caratterizzate da vignette che istigano i palestinesi a utilizzare i loro mezzi di trasporto per uccidere gli israeliani. Una vignetta raffigura un bambino con in testa la fascia verde di Hamas e al volante di un'auto. La didascalia recita: “O palestinese, guida, va avanti!” Gli attivisti hanno pubblicato molte altre vignette simili come parte della loro campagna per istigare i palestinesi a lanciare degli attacchi terroristici contro Israele. Tutto ciò ha avuto una diffusione virale soprattutto sui social network. Qualcosa che va oltre le tattiche utilizzate in passato come attentati dinamitardi suicidi, attentati a mezzi pubblici, rapimenti ed esecuzioni. La tattica ampiamente utilizzata dai terroristi islamici è stata sicuramente finora quella dell’attentato dinamitardo con le bombe, anche sotto forma di suicidi. Questa tattica è stata usata contro i civili, contro soldati, funzionari di governo etc. L’uso degli attentatori suicidi viene visto da molti musulmani come contrario agli insegnamenti dell’Islam; tuttavia, i gruppi che sostengono il relativo uso si riferiscono spesso a tali attacchi come “operazioni” di martirio; e gli attentatori suicidi che li commettono sono definiti in arabo col termine shuhada, plurale di shahid. In merito agli attentati ai mezzi pubblici c’è da aggiungere che si è trasformato ben presto in un marchio di garanzia del terrorismo islamico. Ora però qualcosa di nuovo che sfugge ad una organizzazione centrale e pianificata ma che parte in modo autonomo da cellule impazzite pronte poi per essere usate come mezzo di propaganda dall’Isis o altri gruppi terroristici. Difficile prevenire queste azioni soprattutto visto che i terroristi sono consapevoli della maggiore sorveglianza e sicurezza negli aeroporti e non hanno più bisogno di dirottare aerei. Adesso anche una macchina o un tir usati possono causare morti. L’attacco può essere potenzialmente lanciato da lupi solitari auto radicalizzati, che non necessitano e non hanno ricevuto un addestramento specifico. L’atto terroristico può essere compiuto in ogni luogo e in ogni momento, attraverso un gesto sostanzialmente individuale, istantaneo e diretto a random target non specificati. Per i servizi di sicurezza non è semplice soprattutto se alcuni aspetti lacunosi non vengono risolti. Ancora una volta l’attentatore franco-tunisino di Nizza non aveva un passato limpido e integrato.

Il punto del direttore (fonte Lettera 43)

I collegamenti tra Camorra e Jihad

Valutazione attuale:  / 0

Aziz Ehsan è stato arrestato vicino Napoli. La polizia locale era già sulle sue tracce. Ehsan era ben conosciuto dai servizi segreti francesi e belgi tanto da ritenerlo affiliato con l'ISIS. I poliziotti napoletani erano anche a conoscenza di un mandato di cattura internazionale per lui in Svizzera, dove era ricercato in relazione a una serie di reati, tra cui la contraffazione, aggressione e possesso di armi illegali. È stato arrestato mentre dormiva in una macchina con targa italiana. "Abbiamo eseguito un mandato di arresto europeo nei pressi di Napoli e arrestato un cittadino iracheno noto ai servizi segreti belga e francese" queste le dichiarazioni del ministro degli Interni italiano Angelino Alfano il quale ha aggiunto che Ehsan era in contatto con i terroristi. Napoli è una base logistica per il Medio Oriente, ci sono contatti fra i clan mafiosi e gli estremisti islamici. La scorsa estate lo stesso Salah Abdeslam, fino a poco fa l'uomo più ricercato d'Europa per via dell'attentato a Parigi, ha liberamente viaggiato in Italia, ha preso un traghetto da Bari per la Grecia, aveva una carta prepagata italiana e documenti italiani falsi. Dopo gli attacchi Charlie Hebdo a Parigi nel gennaio 2015 i funzionari anti-mafia e anti-terrorismo italiani hanno evidenziato connessioni di lunga data tra i jihadisti e la camorra napoletana. Inoltre hanno scoperto legami con la mafia siciliana Cosa Nostra e la 'Ndrangheta, tracciando le armi oggetto di traffico clandestino arrivate facilmente nei porti napoletani. Il terrorismo jihadista ha bisogno di basi logistiche per la produzione di video ma soprattutto di documenti falsi (passaporti o carte di identità) che vengono utilizzati anche dai futuri attentatori. In questo ultimo settore si distinguono particolarmente Italia e Spagna. In Italia, nella regione Campania è molto diffusa la presenza di algerini legati al Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento nato da una scissione all'interno del G.I.A. (Gruppo Islamico Armato). Si tratta di un'organizzazione legata al terrorismo con diramazioni in tutta Europa, dedita principalmente al traffico internazionale di documenti falsi, con collegamenti con le aree di Vicenza, Milano e soprattutto Santa Maria Capua Vetere. Spesso nei comuni italiani nel tempo sono stati sottratti documenti. Al comune di Campobasso agli inizi di dicembre 2015 sono state rubate 1000 carte di identità in bianco. Nel luglio del 2014 invece a Gallipoli, nel Salento, scattava l'Operazione Bingo quando vennero rubate 12 pistole e 1050 carte di identità. Gli indagati facevano parte di un gruppo criminale operante nel Sud Italia e specializzato in documenti falsi molti dei quali poi finiti in mano ad immigrati siriani, palestinesi, afghani, albanesi etc. I provvedimenti vennero eseguiti soprattutto in tre comuni del Casertano: Frignano, Teverola e soprattutto Santa Maria Capua Vetere. In territori come la provincia di Caserta è impensabile che non ci sia un legame tra la camorra locale e le attività strumentali al terrorismo internazionale.

Il punto del direttore (tratto dall'Huffington Post)

L'Italia avrà droni armati

Valutazione attuale:  / 0

Gli Usa hanno accordato la vendita all’Italia dei kit di armamento per i droni in servizio nell’Aeronautica Militare che li ha acquistati negli ultimi anni dalla statunitense General Atomics impiegandoli in Medio Oriente dall’Iraq all’Afghanistan o per le operazioni contro l’Isis, fino al Nord Africa, vedi il caso della Libia. Londra era fino a oggi l’unico alleato degli USA ad essere stato autorizzato non solo ad armare i propri Reaper ma addirittura ad imbarcare sui velivoli teleguidati i missili Brimstone. La richiesta dell’Italia era stata presentata nel 2012, di armare due suoi droni MQ-9 Reaper con missili aria-terra Hellfire, bombe a guida laser e altre munizioni. Un accordo dal valore di 129,6 milioni di dollari. Attualmente abbiamo due General Atomics MQ-9 Reaper, conosciuti anche come Predator B. A differenza dei sei Predator A che pure abbiamo alla base di Amendola (FG), i Reaper si possono armare. Gli attacchi dei droni hanno provocato però ad oggi diverse vittime civili. Spesso avvengono in contesti di cui si ha una conoscenza molto limitata. Può succedere, per esempio, che la fonte dell’intelligence sia poco affidabile e si finisca per bombardare la casa sbagliata. I casi di errori di valutazione che hanno portato all’uccisione di civili sono molti, soprattutto in Pakistan. In quel paese gli Stati Uniti hanno fatto spesso ricorso ai cosiddetti signature strikes. Al contrario dei personal strikes, in cui i droni sono usati per colpire una persona o un gruppo di persone di cui si conosce l’identità, i signature strikes vengono ordinati sulla base delle attività che il potenziale obiettivo sta svolgendo. In merito ai costi di un drone si va si va dal piccolo e poco costoso Shadow – circa tre metri e mezzo di lunghezza per quattro di apertura alare, che viene lanciato con una catapulta pneumatica e costa 750 mila dollari a pezzo – fino al Global Hawk, che è il più grande (35 metri di apertura alare) e costoso (104 milioni di dollari a pezzo). Anche l’Italia è in grado di produrre droni. All’epoca del generale Musharraf, l’Italia aveva venduto al Pakistan ben 25 droni, tanto da dotare “il paese dei puri” di un piccolo arsenale telecomandato. Progettato dalla Selex Galileo il “Falco” era arrivato ad Islamabad per contrastare il terrorismo.

Il direttore

La guerra al terrorismo non si vince nei salotti televisivi

Valutazione attuale:  / 0

Noi italiani ed europei sappiamo ormai da tempo di essere nel mirino dei terroristi. È dunque nostro obiettivo primario vincere la partita. Ma per vincerla non bisogna apparire nei salotti televisivi ostinandosi a mostrare una sicurezza che non c’è. Anzi il terrore fuoriesce anche dagli studi televisivi soprattutto se a distanza degli attentati di Parigi si risponde con le stesse chiacchiere e gli stessi slogan. Non si può pensare di risolvere la minaccia jihadista bombardando Siria, Afghanistan o Libia quando non esiste uno Stato del Califfato e soprattutto visto che il terrorismo si articola in singole cellule che sono ormai ben presenti in molte città nel cuore dell'Europa. Salah è stato per 4 mesi a Moleenbek protetto dalla sua gente, in una zona a quanto pare off limits per le forze di polizia e comunque fuori controllo. Un po' quello che succedeva in Italia per i boss di Casal Di Principe che in realtà vivevano in paese, nei bunker, protetti senza mai lasciare l'Italia. L'Europa continua a sbagliare e in molti lamentano una cooperazione a livello di Intelligence. La nuova guerra asimmetrica prevede tutto questo. Continueranno ad esserci attentati tanto da farci l'abitudine. Ci saranno nuovi martiri pronti ad immolarsi specialmente ora che l’Europa sta dimostrando una grande debolezza e grosse faglie nel sistema di sicurezza. C’è una bella differenza tra la guerra dei soldati americani, pronti a morire sul terreno, e la nostra tipologia di guerra che di fatto si limita al sostegno politico, logistico e di addestramento di truppe spesso poi svanite nel nulla vedi in Libia. Non si tratta di sradicare il terrorismo dalla faccia della terra. Esso esisteva prima dell’11 settembre, è continuato dopo e continuerà ad esserci. Si può e si deve invece stroncare lo specifico gruppo di organizzazioni terroristiche e di Stati compiacenti che li finanziano. Guerra asimmetrica non solo a livello di mezzi ma anche nella modalità da un lato attentati suicidi dall’altro bombardamenti aerei come se i nostri obiettivi fossero tutti concentrati in una unica zona rossa. Gli europei non seguono gli Usa nella logica della guerra globale al terrorismo. La priorità è data all’intelligence e alla prevenzione. Nel tempo si è tentato di ricostruire il circuito jihadista, l’identikit di un attentatore, il finanziamento al terrorismo. Il pericolo però nasce dal fatto che i jihadisti sono tra noi. E puntano soprattutto alcune periferie urbane dal Belgio, alla Francia, all’Inghilterra senza escludere l’Italia o la Germania. Certamente per vincere questa guerra ci vorrà del tempo ma di sicuro non si risolverà nei salotti televisivi.

Il direttore

Il Bangladesh e la galassia terroristica

Valutazione attuale:  / 0

Il ministro dell'Interno del Bangladesh, Asaduzzaman Khan Kamal, sulla morte del cooperante italiano Tavella ha fatto sapere che le agenzie di investigazione non hanno trovato alcun legame con il presunto Stato islamico. Secondo il governo il Califfato in Bangladesh non esiste e che chiunque abbia tentato di reclutare membri per il gruppo nel Paese è stato arrestato. Di sicuro, però, il Paese a maggioranza musulmana è da anni nel mirino dei fondamentalisti islamici. Gli stessi cooperanti erano stati colpiti in passato. Fra il 22 novembre 2004 e il 15 gennaio 2005 nel Bangladesh occidentale vennero compiuti attentati durante numerose sagre di villaggio e spettacoli musicali, teatrali o di danza, provocando diversi morti e feriti. Brac e Grameen Bank, due delle più prestigiose Ong del paese, stimate soprattutto per il loro contributo allo sviluppo rurale e attente ai programmi femminili, furono oggetto di attentati con esplosivi. Il problema in Bangladesh è sfuggito da tempo sia al Governo incapace di fronteggiare il fenomeno e sia alle agenzie di intelligence.  Le centrali operative del Bangladesh (il Directorate General of Forces Intelligence, la National Security Intelligence, la Special Branch e la Detective Branch) non riuscirono ad  impedire che il 7 maggio 2004 una granata uccidesse il deputato dell’Awami League Ahsanullah Master, né l’attacco al santuario di Hajrat Shahjalal a Sylhet il 21 maggio 2004, ma nemmeno l’assassinio del professore Mohammad Yunus della Rajshahi University il 24 dicembre 2004 o l’uccisione dell’ex diplomatico e ministro delle Finanze del Bangladesh, Sams Kibria, avvenuta a Sylhet il 27 gennaio 2005.  Tutto ciò a dimostrare di come negli anni il terrorismo di matrice islamica avesse avuto vita facile. Ciò nonostante sula morte del cooperante italiano restano dei dubbi visto che nel paese asiatico operano una galassia di organizzazioni terroristiche che potrebbero usare l’Isis come sponsor propagandistico ma non direttamente collegate al Califfato. Il 21 maggio 2002 il Dipartimento di Stato americano classificò l’Hujib fra le organizzazione terroristiche più temibili operanti nell'Asia meridionale. Alcuni membri dell’Hujib, rientrati in patria dopo la guerra in Afghanistan, ricevettero addestramento militare nei campi  lungo la frontiera con il Myanmar. Gli induisti e i musulmani moderati del Bangladeshi Hindus li ritengono responsabili di molte aggressioni nei confronti di minoranze religiose, intellettuali laici e giornalisti. L’Hujib controlla madrase anche in Thailandia, Cambogia, Indonesia e Brunei addestrando attivisti locali. Non è il solo gruppo attivo in Bangladesh anzi negli anni ne sorti molteplici che ricevono il sostegno economico dall’Arabia Saudita e soprattutto dai paesi del Golfo. L’idea di uno Stato Islamico che di fatti non esiste, non essendo tracciabili neanche i suoi confini geografici, sta risultando sempre più pericolosa proprio perché sfugge alle caratteristiche territoriali di uno Stato ma anzi la propaganda a macchia d’olio sta permettendo alle organizzazioni terroristiche operanti e dormienti dell’Asia Meridionale di tornare alla ribalta.

Il direttore