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Storia militare

1925, Campobasso e l'inedita palestra portatile Magnini

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Nel 1931 il Comando Generale della M. V. S. N. (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale) - Ispettorato Generale Premilitari, pubblicava un libretto, da diramarsi su tutto il territorio nazionale, circa le Norme per l’impiego della Palestra Portatile “Magnini” in dotazione ai corsi premilitari. Tramite questa pubblicazione di carattere divulgativo e dimostrativo, comprensivo delle norme per il più pratico impiego della Palestra “Magnini”, nonché delle figure tendenti a ottenere il più razionale impiego di essa, il sopracitato Comando Generale, intese dare a tutti gli Istruttori e Sottoistruttori della Premilitare la possibilità di usare convenientemente il materiale a loro disposizione. L’opuscolo, inerente l’utilizzo della Palestra Portatile “Magnini”, venne diramato in tutte le sedi della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale esistenti in Italia, affinché il suo utilizzo diventasse il prioritario mezzo per l’allenamento dei Premilitari, alla buona preparazione dei quali, dovevano essere rivolte le cure e gli sforzi di tutti i Direttori e gli Istruttori. Ma qual’é il filo rosso che unisce indissolubilmente la Palestra Portatile e il suo inventore, Cap. Magno Magnini, con la Caserma “Gen. Gabriele Pepe” di Campobasso? Per scoprirlo bisogna necessariamente seguire le vicende militaresche della “Brigata Arezzo”, riavvolgendo il nastro della “Storia” al termine del primo conflitto mondiale, allorquando, essendo stati entrambi i suoi reggimenti insigniti della massima ricompensa al valor militare, la “Brigata Arezzo” non venne soppressa, e così il 5 luglio del 1921 (fino al 1926), il 226° reggimento dalla sede di Brescia fu trasferito a quella di Campobasso, finalmente, dal compimento del processo unitario, la città di Campobasso e la sua Caserma “Gen. Gabriele Pepe”, tra gli edifici militari più belli e funzionali di tutte le province meridionali, divennero sede di un reggimento del Regio Esercito. Reggimento di assegnazione anche del neopromosso Capitano Magno Magnini il quale, per la promozione al grado superiore, venne trasferito in data 23 ottobre 1921 nella sede di Campobasso. Nato a Pistoia l’11 novembre 1889,  il giovane Magno si arruola il 15 novembre 1907, all’età di 18 anni, come volontario nel Rgt. Cavalleggieri di Lucca (16°), dando inizio a una vita militare che si rivelerà, negli anni, molto vivace e a dir poco non comune, con le sue continue progressioni di carriera e la partecipazione ai diversi conflitti bellici: Prima Guerra Mondiale (con prigionia in Austria), Africa Orientale Italiana, Seconda Guerra Mondiale (e internamento in Germania). Lungo il percorso di questa dinamica vita, il Tenente Magnini, nel corso del 1921, accompagnato dalla moglie, la Sig.ra Rosa Bianchini, e dal figlio Antonio, si trasferisce in Molise. Fu proprio durante la permanenza molisana, in cui verrà alla luce la secondogenita Maria, che il nostro Uff.le di Fanteria, all’interno della Caserma “G. Pepe” e lungo le polverose strade di Campobasso, ideò, elaborò e sperimentò la sua “invenzione”, una palestra portatile. Un “sistema”, che il Cap. Magno Magnini non solo certificò con relativo brevetto, ma che documentò anche graficamente nel 1925, con la pubblicazione di una Guida della Palestra Portatile. La Palestra Portatile era composta da un numero di travicelli di legno, di eguale spessore e di diversa lunghezza, di costo limitatissimo, e che rispondevano in maniera funzionale alla composizione di diversi tipi di ostacoli, atti a soddisfare molti esercizi della ginnastica regolamentare del periodo. Una delle qualità maggiormente apprezzate di detta Palestra, era quella di poter eseguire, grazie  alla sua estrema maneggiabilità e immediata operatività, la ginnastica in ogni luogo, anche in quei piccoli distaccamenti militari, o piazze di piccoli paesi, dove non era possibile trovare l’immediata disponibilità di campi sportivi. Così, scriveva il Cap. Magnini sulla sua Guida «E’ evidente l’utilità della Palestra Portatile, sia nell’educazione delle reclute, sia nella preparazione fisica della massa».

di Antonio Salvatore

La ginnastica militare tra passato e presente (prima parte)

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La ginnastica (dal greco gymnastiké - tekné) è l’arte degli esercizi per rendere il corpo forte e sano, sviluppando robustezza e agilità. Fu largamente praticata nel mondo ellenistico già a partire dal V sec. a.C. infatti, i Greci basavano la loro educazione e la loro cultura sullo sviluppo e la vigoria fisica, ritenuta fondamentale anche per lo sviluppo mentale. Nella sua consuetudine vedevano la cura del corpo per trarne armonia, ritmo, movimento e bellezza; la perfezione del corpo portava alla perfezione dell’uomo, una costante, questa, di tutta la cultura greca la quale, così come testimoniato dall’arte, si identificava con i più alti canoni della bellezza fisica. Non così fu per i Romani, che la utilizzarono soprattutto in funzione militare, trasformandola in un quotidiano e severo allenamento fisico, attraverso l’uso delle armi per la preparazione alla guerra. Così scriveva Flavio Giuseppe nel I sec. d.C.: «Per essi infatti non è la guerra l’inizio d’esercitarsi alle armi, né soltanto quando c’è bisogno muovono essi mani tenute inoperose in tempo di pace... bensì, come se fossero nati con le armi addosso, non concedono giammai tregua al tirocinio né ad aspettare le occasioni propizie. Presso di loro le esercitazioni non differiscono in nulla da vere mostre di valore ché anzi, ogni soldato giorno per giorno, si allena con tutto l’ardore come in tempo di guerra...». L’addestramento divenne talmente fondamentale e determinante per la superiorità bellica romana che, in inverno, venivano costruiti dei capannoni (a volte disseminati di cumuli di rocce per simulare terreni dissestati, palizzate, cavalli di legno e diversi altri ostacoli) nel cui interno legionarii ed equites si potessero esercitare; una vera e propria primogenitura del concetto di palestra. Tale “tekné”, fece si che, un solo soldato romano, benché non dotato di un fisico particolarmente prestante, valesse, così come si diceva all’epoca, almeno quanto dieci  guerrieri barbari. Con la progressiva decadenza dell’Impero Romano e il costante sviluppo del Cristianesimo che, esaltando lo spirito e demonizzando la bellezza corporea come uno dei simboli della degradazione dell’anima, si portò l’attività fisica, quale esercizio di preparazione alla difesa e alla guerra, a esclusivo privilegio delle classi agiate. Solo con l’introduzione della figura del Cavaliere medioevale, la quale esaltava le qualità fisiche al pari di quelle morali e intellettive, l’esercizio fisico torna di nuovo un aspetto rilevante. Il Rinascimento, con il suo crescente gusto per la riscoperta della cultura e l’arte classica, portò un nuovo interesse per l’attività fisica infatti, a partire da questo periodo, non solo vennero codificate diverse regole di molti giochi, ma anche le scuole cattoliche, dopo il Concilio di Trento, inserirono l’educazione fisica tra le materie d’insegnamento.  In questo periodo vengono anche pubblicati degli scritti sulla ginnastica, tra cui: la traduzione in volgare del Trattato dei Governi di Aristotele, da parte di Bernardo Segni, il quale scrive: «Quattro son quasi le cose che sogliono essere insegnate, la grammatica, la ginnastica, la musica, e la quarta è la dipintura. Ma la grammatica e la dipintura sono insegnate per utili alla vita in molti casi; e la ginnastica come quella che indirizzi gli uomini alla fortezza. Per fortezza allora si intendeva la forza, cioè quella robustezza del corpo, che era lo scopo soprattutto della preparazione militare. Un soldato doveva sopportare le marce, le privazioni delle comodità, il peso della corazza e delle armi, e naturalmente doveva combattere con un altro soldato e vincerlo nella lotta o nella precisione … o all’occorrenza esser pronto a saltare e a fuggire»; e nel 1573 la seconda edizione di De arte Gymnastica. Libri sex (Arte ginnastica. Libri sei), di Girolamo Mercuriale, nella quale l'autore parla di storia, filosofia, dermatologia, pediatria, patologia etc. e dell’importanza nella medicina degli esercizi fisici, i quali, benché visti in un’ottica di preparazione militare, avevano come obiettivo la sanità e la robustezza del corpo. Una riflessione che continua ancora alla fine del 1700 con lo scritto del giurista e filosofo napoletano, Gaetano Filangieri, Scienza della legislazione (1780), nel quale si poneva una relazione quasi di dipendenza necessaria tra lo sviluppo morale e lo sviluppo fisico. Ma è solo durante l’800 che la ginnastica verrà considerata come materia scolastica, dall’iniziale intento disciplinare al sapere plurale dell’Educazione fisica. Tra i padri di questa “nuova materia” troviamo: Friedrich Ludwig Jahn, il quale viene considerato “il padre della ginnastica”, per il pedagogista tedesco l’Educazione fisica non era solo importante per la formazione del singolo individuo ma anche per la costruzione di una identità nazionale forte e sicura; Franz Nachtegall fondò nel 1799 una palestra privata a Copenhagen, fu grazie a lui che nel 1814 divenne materia obbligatoria nelle scuole pubbliche maschili danesi, tanto che, il Principe Reale di Danimarca, comprese che la ginnastica sarebbe stata utile per formare dei militari allenati, creando così il primo Istituto di Ginnastica Militare; Francisco de Amorós y Ondeano, che a Parigi fondò la Palestra Normale Militare. In Italia, nella fattispecie nel Regno di Sardegna, fondamentale fu la figura dello svizzero R. Obermann, il quale, chiamato a Torino, nel 1833, da Carlo Alberto di Savoia per l’istruzione ginnica degli allievi dell’Accademia Militare, influenzò in seguito, in maniera decisiva, anche la cosiddetta ginnastica educativa, la quale, concepita come metodo volto alla formazione del carattere, allo sviluppo del senso della disciplina e alla salute del corpo, era intesa soprattutto come propedeutica al servizio militare. Nel Regno delle Due Sicilie invece, ebbe particolare importanza l’opera scritta nel 1846 da Niccolò Abbondati, Istituzione di arte ginnastica per le truppe di fanteria di S. M. Siciliana, e dall’opera svolta come insegnante presso il Collegio Militare della “Nunziatella” di Napoli (1841-1848), dal filosofo, Francesco De Sanctis, che fece dell’insegnamento della ginnastica uno strumento fondamentale per la formazione dei cadetti (che sostenne anche durante il suo incarico di Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia (1878, 1878-81). 
 
di Antonio Salvatore
 

La ginnastica militare tra passato e presente (seconda parte)

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A seguito della Legge Casati (Regio Decreto 13 novembre 1859, n. 3725 del Regno di Sardegna, entrato in vigore nel 1861 e successivamente esteso, con l’unificazione, a tutta l’Italia), vennero introdotti negli istituti secondari maschili gli esercizi militari come: marce ed evoluzioni; esercizi di corsa; salto in lungo e in alto; a corpo libero e agli attrezzi; agli allievi delle classi maggiori era impartita anche un’istruzione militare, propedeutica all’uso delle armi. Tali esercizi e istruzioni erano impartite da docenti appositamente formati e talora provenienti dall’Esercito. Negli anni successivi l’attenzione alle condizioni fisiche e alle capacità militari della nazione si era imposta come una necessità inderogabile nel momento in cui, conseguita l’unità politica, si delineò sulla scena internazionale un contesto fortemente competitivo in cui l’Italia rischiava di non trovare un adeguato posizionamento. La scuola e l’esercito, che erano le due istituzioni privilegiate attraverso cui far transitare i principi ispiratori della nuova politica nazionale, rivestirono dunque in questo passaggio storico un ruolo fondamentale. Per le ragioni appena descritte, divenne di particolare importanza quindi, l’insegnamento della ginnastica, divenuta educativa e obbligatoria, in grado di garantire e di accrescere non solo la capacità muscolare degli individui, ma il loro temperamento, la loro moralità e la loro fede negli ideali della Patria. La definitiva consacrazione del positivismo militaresco e razionale si ebbe nel 1909 con la Legge Rava-Daneo (Legge n. 805 del 26 dicembre 1909), in cui erano contenute le disposizioni che riconfermavano l’insegnamento dell’educazione fisica, tra cui: mezz’ora al giorno nella scuola primaria e, per complessive tre ore, nella scuola media; l’obbligatorietà alla frequenza di corsi magistrali di educazione fisica per quei docenti che aspiravano all’insegnamento nelle scuole medie. Oramai la ginnastica era considerata uno dei più importanti tasselli per la costruzione dell’identità nazionale, educare il corpo per educare l’anima del paese. Nel 1923, a cavallo tra le due guerre mondiali, vennero elaborati una serie di atti normativi che diedero vita a una organica riforma scolastica, la cosiddetta riforma Gentile, dal nome del filosofo e Ministro della Pubblica Istruzione (1923) Giovanni Gentile, in cui l’insegnamento dell’educazione fisica, in virtù della sua concezione spirituale, dovesse avere un compito morale, igienico ed educativo. Gentile riteneva, in primo luogo, che il fine della ginnastica non fosse la trasformazione dell’uomo in una macchina atletica, ma piuttosto quello di formarlo nella sua totalità spirituale, in secondo luogo, la ginnastica doveva essere presente nella scuola primaria nella sua forma collettiva, ricreativa e ludica, poiché, la scuola primaria era la scuola di tutti e per tutti, nel grado medio, invece, essa doveva cedere il passo ai saperi speculativi e pratici. Una scuola, per il filosofo siciliano, che avesse al suo centro il merito e l’eccellenza, una scuola in cui la sana competizione e il desiderio di affermazione avessero fatto da traino al rinnovamento della stessa istituzione scolastica. In ambito puramente militare, il Ministero della Guerra, l’1 gennaio 1928, pubblicava, per la successiva e scrupolosa osservanza dello stesso, il manuale Istruzione per la ginnastica militare, nella cui Premessa, si ricorda che la ginnastica militare, per mezzo dell’educazione dell’individuo, ha per fine ultimo l’elevazione della massa: «le particolari attitudini fisiche dei singoli, vanno quindi coltivate e sfruttate non a loro beneficio, ma per essere poste a profitto della collettività». All’indomani del secondo conflitto mondiale, allorquando è totale nella popolazione italiana il comune senso di ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà dei altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, anche la ginnastica, che da sempre era stata intesa come una fondamentale e propedeutica attività finalizzata alla formazione del futuro “cittadino-soldato”, intraprende un costante e progressivo avvicinamento a posizioni in chiave esclusivamente sportiva infatti, numerose saranno le società e le istituzioni sportive che nasceranno in ambiti extra-scolastici le quali, in seguito, risulteranno determinanti per la diffusione dello sport in Italia. Negli anni a seguire anche le Forze Armate, unitamente all’ordinario mantenimento dei quotidiani periodi dedicati all’espletamento dell’educazione fisica, come mezzo teso a ottenere il mantenimento dell’efficienza fisica del proprio personale, hanno organizzato, sviluppato e regolato al proprio interno, veri e propri  “gruppi sportivi militari”, formati da atleti detti “atleti militari”. Atleti che facevano parte dell’Esercito Italiano, della Marina Militare e della Guardia di Finanza, partecipano a competizioni sportive agonistiche fin dalla fine dell’Ottocento, inizialmente organizzati in squadre speciali o in reparti che si dedicavano principalmente all’attività sportiva; già nelle prime edizioni delle Olimpiadi dell’era moderna si registra le presenza di atleti militari. Con il tempo questo impegno sportivo è stato formalizzato con leggi e regolamenti, che hanno riconosciuto la possibilità, per corpi armati e forze di polizia, di arruolare atleti con risultati di livello nazionale, riconoscendo di fatto una situazione che aveva una lunghissima tradizione. L’Esercito, per mezzo di una sua articolazione, il Centro Sportivo dell’Esercito (creato nel 1960), gestisce l’insieme dei sei centri sportivi ubicati sul territorio nazionale, all’interno dei quali, da molti anni, eccellenti Istruttori Militari si occupano di allenare e selezionare giovani e promettenti atleti.

di Antonio Salvatore

Il ruolo dei militari nella Resistenza dell'Italia meridionale

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Alla luce di quanto emerge dalla nuova documentazione prodotta dal Prof. Giovanni Cerchia, docente di Storia Contemporanea presso l’università degli Studi del Molise, nel suo nuovo ed interessantissimo libro “La Seconda Guerra Mondiale nel Mezzogiorno”, pubblicato nell’autunno scorso, si evince un nuovo e fin’ora sconosciuto contributo dei militari, nella Resistenza meridionale contro il nemico nazista «La sua stessa Resistenza fu a dir poco originale, ma non assente: con il prevalere dell’impegno dei soldati e di una caratterizzazione patriottica che comunque rappresenta una delle componenti fondamentali del movimento di liberazione nazionale». Un ruolo, quello interpretato dagli uomini in divisa, ancor più delicato, vista la catastrofica situazione militare (e non solo), dalle emergenze dell’8-9 settembre, con l’invasione alleata e l’esercito italiano allo sbando, ma non sempre disponibile a lasciarsi catturare e disarmare senza combattere. E’ all’interno di questo quadro di assoluta incertezza politico-militare, che si materializzò una prima e spontanea forma di Resistenza contro le truppe naziste. Diversi, furono infatti, gli episodi dove la provvidenziale azione dei militari riempì il vuoto di potere a protezione e salvaguardia della popolazione, tra questi si ricordano: Salerno - 9 settembre, salvataggio del porto e scontri a fuoco a protezione della popolazione, tra carabinieri e tedeschi; Castellammare di Stabia (NA) – 9 settembre, combattimenti per il controllo del porto e degli stabilimenti navali, tra le truppe italiane e unità della 16a Divisione Divisione corazzata “Göring”; San Severo (FG) – 9 settembre, combattimenti a protezione della popolazione, tra i militari del Presidio (4a Compagnia del CVII Battaglione) e soverchianti truppe tedesche; Barletta – 9 settembre, combattimenti tra i militari del 15° Reggimento costiero e unità della 16a Divisione Divisione corazzata “Göring”; Nola (NA) – 10 settembre, combattimenti tra i militari del 48° Reggimento d’artiglieria “Taro” e truppe tedesche; Piedimonte d’Alife (CE) – 9-11 settembre, combattimenti tra i militari del 306° Nucleo Anti Paracadutisti e truppe tedesche; infine le centinaia di episodi della resistenza da parte dei militari per la difesa di Napoli. L’inaspettata e massiccia reazione presidi militari e delle forze dell’ordine italiane, male armati e senza oramai alcuna catena di comando, non solo suscitò nei tedeschi un nuovo e sconosciuto sentimento di timore verso gli italiani, ma pose le basi per l’esercizio di una scelta di libertà.
 
di Antonio Salvatore
 

Storia del Distretto Militare di Campobasso (sesta parte)

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Fu grazie a queste esercitazioni militari che la città di Campobasso visse una di quelle giornate festose da rimanere impresse per anni nella memoria collettiva, la visita della Coppia Reale. Alle ore 10:40 del 23 Agosto 1905, accolti dalle massime Autorità Civili e Militari, tra cui il Sindaco   di   Campobasso   Vittorino   Cannavina   e   il   Comandante   della   Divisione Ravenna, Tenente Generale Roberto Brusati, arrivarono alla Stazione Ferroviaria del capoluogo molisano il Re Vittorio Emanuele III e la consorte Regina Elena. Tra il tripudio della popolazione che sventolava bandiere, fazzoletti, lanciava fiori, e a stento contenuta lungo le strade da un doppio cordone di 2.500 militari, il corteo reale, al suono delle Fanfare del 35° Rgt. Fanteria e 48° Rgt. Fanteria, raggiunse il Palazzo della Prefettura, dal cui balcone la coppia reale salutò i campobassani. I Sovrani rimasero talmente affascinati dal Molise che lo definirono “La Svizzera ignorata”. Degli anni successivi, tranne sapere che il Distretto Militare di Campobasso, fino a tutta la Prima Guerra Mondiale, fu uno dei centri di reclutamento per la Brigata Re, 1° Rgt. (Sacile) e 2° Rgt.(Udine); Brigata Casale, 11° Rgt, (Forlì) e 12° Rgt. (Cesena); Brigata Pavia: 27° Rgt. (Rimini) e 28°Rgt. (Ravenna); Brigata Pistoia: 35° Rgt. (Bologna) e 36° Rgt. (Modena); Brigata Puglie: 71° Rgt. (Venezia) e 72° Rgt. (Mantova) e qualche foto aerea, non abbiamo, della Caserma “G. Pepe”, causa la scarsa presenza di fonti documentarie, alcuna notizia. La presenza militare nella città di Campobasso aumentò soprattutto durante il Primo Conflitto Mondiale, infatti il capoluogo fu sede di strutture che ospitarono i prigionieri di guerra, come l’ex Convento di Santa Maria dell’Annunziata detto Della Pace e la Scuola Elementare di via Roma, ma soprattutto fu sede di strutture mediche militari come il Convitto “Mario Pagano".

di Antonio Salvatore