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La scelta del Presidente Mattarella

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Quella che sta vivendo il bel Paese in questi giorni è una della tante crisi istituzionali che ha attraversato durante tutto il suo periodo repubblicano. Ieri, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha posto un veto sulla lista di governo presentata dal primo ministro professor Conte designato dalla coalizione nata post-elezioni dalle due forze populiste Lega e M5S. Punto cruciale il ministero dell’economia e la proposta di affidarlo all’82enne economista Paola Savona. Il presidente si è avvalso dell’articolo 92 della costituzione  che recita: “Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri.” Mattarella parlando al popolo italiano ha motivato la sua scelta dicendo di aver dovuto salvaguardare l’economia italiana da un possibile ministro con tendenze anti-euro così rischiose da compromettere la stabilità del paese, avvalendosi dell’articolo  47 della costituzione che a tal proposito recita che: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito”. L’epilogo è stata la rinuncia dell’incarico da parte del professor Conte e un possibile governo “neutrale” che porti il Paese fino alle prossime elezioni. Ma non è la prima volta che un presidente della Repubblica esercita questo suo diritto costituzionale.  Già in precedenza il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro pose un veto alla proposta del primo governo Berlusconi di nominare ministro di Grazia e Giustizia Cesare Previti. Il gesto pienamente democratico e costituzionale del presidente però non è stato accolto bene da alcune forze politiche come Lega, M5S, FDI e da buona parte della popolazione che pur non avendo alcuna conoscenza in materia politica e costituzionale, vive ormai influenzata dalle forze populiste ed in balia di fake news.

di Michelangelo Fanelli

Russia 2018, Mondiale e tensioni tra sovietici e inglesi

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Sarà una lunga vigilia per il Mondiale di Russia 2018, caratterizzata in particolare dalle tensioni politiche tra Putin e Gran Bretagna. Uno scenario purtroppo già visto nelle ultime grandi manifestazioni sportive, essendo sempre più difficile arrivare ad accordi. La memoria ci porta alle ultime Olimpiadi invernali di PyeongChang caratterizzate dalla crisi tra le due coree mentre il Mondiale di Russia 2018 rischia di passare alla storia come quello del boicottaggio nei confronti di Putin. In primo piano la crisi politica e diplomatica con la Gran Bretagna seguita al clamore del caso Skripal. Lo scenario che preoccupa la Fifa è l'assenza dei maggiori leader politici mondiali il 14 luglio, giorno dell'inaugurazione allo stadio Luzhiniki. Secondo il quotidiano As la Gran Bretagna avrebbe iniziato una serie di colloqui con gli alleati per convincerli a lasciare isolato Putin nel parco presidenziale quando ci sarà la cerimonia inaugurale, un gesto che, stando alle ultime notizie, sarebbe già appoggiato dagli Stati Uniti. Il rischio è che tutto si ripresenti al Qatar nel 2022. Tornando alla sicurezza anti-terrorismo, Patrushev ha affermato: "Sono state adottate numerose misure aggiuntive in tutto il territorio del distretto per rafforzare la sicurezza anti-terrorismo nei centri di cura, nelle strutture sportive e nelle infrastrutture vitali".

di Valerio Bianchini, Marco Andretta, Alex Di Ciocco

Finalmente la pace tra le due Coree

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Dopo più sessant'anni dall'armistizio del 1953, un accordo di pace sarebbe un evento storico ma non facile da raggiungere.
L'argomento del trattato di pace è stato uno dei punti cruciali nell'incontro tra Chung Eui-Young, consigliere della sicurezza e presidente della Corea del Sud, e John Bolton, controparte statunitense. In seguito il commento di Donald Trump all'impegno di Seul e Pyongyang a costruire la penisola coreana libera dalle armi nucleari è stato: "La guerra coreana finirà!", ma da parte del presidente americano sono promesse nuove sanzioni per il regime che vige nella cittadina nord-coreana a causa dell'uccisione del fratellastro del leader nord-coreano Kim Jong-un, avvenuta usando agenti chimici. A conseguenza di ciò quest'ultimo si è detto pronto a dire addio al suo arsenale nucleare pur di arrivare a una sopravvivenza politica. Questo evento sebbene utopico, è un passo diplomatico importantissimo per creare le premesse per progressi reali verso la pace.
Il summit ha però riscontrato dei problemi per quanto riguarda gli accordi comuni sulla fine delle guerra e la denuclearizzazione, poiché non dà risposta a come questi obiettivi saranno raggiunti. Inoltre un'altra questione completamente esclusa è stata quella dei diritti umani, da tempo violati dalla Corea del Nord. Il piano di Kim Jong-un, potrebbe essere quello di firmare vaghe dichiarazioni di intenti posticipando il momento di formalizzare i dettagli. Sarebbe comunque un risultato positivo sia per la Corea del Nord che per gli Stati Uniti.
 
di Ilaria Dugo, Gavio Di Carlo, Anna Sanità, Emanuele Saia e Lugi Cerimele
 
 

 

E se internet smettesse di funzionare?

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Nel 1969 nacque un progetto di ricerca dell' ARPA, un' agenzia del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti seguito pochi mesi dopo dalla prima rete di comunicazione online, Arpanet. Con il passare degli anni, altri gruppi, tra cui la NASA e alcune università, crearono le loro reti di comunicazione. Nel 1986 venne formata una rete che sfruttava un sistema di collegamento degli utenti ad alcuni supercalcolatori, la SFNnet che, conquistando decine di milioni di persone, soppiantò Arpanet. Nel frattempo si svilupparono reti anche in altri paesi, e ognuna di esse finì per collegarsi alle altre, formando un’enorme "ragnatela": Internet è appunto il risultato di questa gigantesca connessione fra reti interoperanti. Nel 1990 venne sviluppato uno strumento che rese immediatamente disponibili le informazioni presenti sulla rete in formato multimediale e ipertestuale: il World Wide Web. Internet divenne così accessibile a chiunque e la sua utenza si allargò a centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, che ancora oggi vivono connesse. “Più si è giovani più si è attivi online", attesta una ricerca dell'Istat. Il digital gap tra i 18 - 24enni e gli ultra 55enni è, infatti, pari a 12 punti percentuali: 73% contro 61%. L’altra buona notizia è che non c'è nessuna differenza tra maschi e femmine, entrambi posizionati al 68%. Sta di fatto che, nella nostra quotidianità, a tutti capita almeno una decina di volte al giorno di connetterci ad internet. Viene ormai usato per tutto, dal prenotare un volo aereo all' investire in borsa, dalle ricerche scientifiche fino ad arrivare ad un comunissimo social network. Insomma, lo usiamo sempre. E se smettesse di funzionare? Partiamo subito con il dire che, in realtà, è praticamente impossibile che tutto internet venga spento. Ma mettiamo caso che per qualche strano motivo questo accada, ovviamente tutti i social smetterebbero di funzionare e saremmo, sotto quel punto di vista, tagliati fuori dal mondo. Quello che alcuni non sanno è che, in questo caso, anche le chiamate e gli sms inviati con il cellulare non funzioneranno più dato che, ormai, la maggior parte delle antenne telefoniche sfruttano internet per funzionare. Un altro problema sarebbe quello che tutte le più importanti aziende come Amazon, Google, Facebook, Spotify o Netflix fallirebbero portando alla disoccupazione milioni di persone. I posti di lavoro a rischio però, non sarebbero solo quelli degli impiegati nelle grandi multinazionali, perché anche piccole aziende sarebbero inutili, per esempio, una piccola agenzia di viaggi non potrebbe mai lavorare senza internet perché non potrebbe inviare mail, prenotare i voli e gli alloggi. Non potrebbe fare nulla. L’evento segnerebbe anche la fine del mercato azionario e, soprattutto, delle banche che, non potendo mettere a disposizione il servizio di transazione online, chiuderebbero nel giro di pochi mesi. Diventerebbe impossibile usare qualsiasi mezzo di trasporto terrestre pubblico e privato dato che tutti i semafori e i distributori di carburante non potrebbero funzionare. Insomma, ci ritroveremo in una situazione abbastanza drammatica che, probabilmente, porterebbe a varie rivolte e violenze e i nostri figli si ritroverebbero in una società culturalmente e socialmente regredita rispetto a quella che stiamo vivendo.
 
di Marino D'Onofrio e Michele Paoletti

Le infiltrazioni terroristiche nelle regioni italiane

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Secondo l’Istituto di Ricerca Demoskopica la regione ad essere più a rischio da infiltrazioni terroristiche è la Lombardia con 10 punti distanziata di poco dal Lazio (9,2 punti). Seguono nell’area “rossa” il Piemonte (4,19) punti e infine l'Emilia Romagna (4,10 punti). Nell’area intermedia si collocano altre cinque realtà regionali: Campania (3,53 punti), Toscana (3,15 punti), Veneto (2,33 punti), Trentino Alto Adige (1,79 punti) e Liguria (1,63 punti). Le restanti realtà regionali si sono posizionate nelle due aree che presentano un livello medio-basso di rischio potenziale di infiltrazione terroristica: Marche (1,32 punti), Sicilia (1,26 punti), Calabria (1,15 punti), Sardegna (0,90 punti), Friuli Venezia Giulia (0,83 punti). In coda, tra le meno a rischio si posizionano Puglia (0,73 punti), Umbria (0,54 punti), Abruzzo (0,27 punti), Molise (0,04 punti) e infine la Basilicata (0,03 punti). Queste statistiche si basano su vari aspetti come le intercettazioni autorizzate per indagini sul terrorismo internazionale dal 2006 al 2015 che hanno avuto 10.885 utenze di cui 4.044 in Lombardia (37,2%), 1.351 utenze nel Lazio (12,4%) e 1.112 in Campania (10,2%). A seguire la Liguria con 606 intercettazioni (5,6%), la Sardegna con 544 (5,0%), il Piemonte con 516 bersagli (4,7%), il Veneto con 467 (4,3%), il Trentino Alto Adige con 440 (4,0%), la Puglia con 331 (3,0%), il Friuli Venezia Giulia con 302 (2,8%), l’Emilia Romagna con 298 (2,7%), l’Umbria con 225  (2,1%) e l’Abruzzo con 224 bersagli (2,1%). In coda, sempre per numero di intercettazioni telefoniche, ambientali, telematiche ed informatiche si collocano la Toscana con 157 bersagli (1,4%), la Sicilia con 134 (1,2%), la Calabria con 76 (0,7%),  le Marche con 36 (0,3%) e il Molise con 22 utenze (0,2%). Un altro parametro utile agli studi è stato quello degli episodi terroristici avvenuti in territorio italiano dal 2005. Nel Lazio si registrano 15 episodi pari ad oltre il 22,1% del totale, in Lombardia 12 eventi (17,6%) e in Piemonte 10 eventi (14,7%). Seguono l’Emilia Romagna con 6 episodi terroristici (8,8%), la Toscana con 5 episodi (7,4%), la Liguria con 4 episodi (5,9%), Calabria, Veneto e Marche con 3 episodi per ciascuna realtà territoriale (4,1%), Campania e Trentino Alto Adige con 2 eventi “a testa” (2,9%) e infine Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Umbria con un episodio in ciascuna area (1,5%) per un totale di 68 attentati. Il terzo parametro registrato è stato quello relativo al  numero degli stranieri provenienti dalla zone considerate nella top five del terrorismo ossia, Iraq, Afghanistan, Nigeria, Siria e Pakistan. I pachistani sono maggiormente presenti in Lombardia (37.771 individui), in Emilia Romagna (21.199 individui), in Toscana (6.408 individui) e in Campania (6.170 individui). La maggiore presenza di nigeriani si registra in Veneto con 13.198 residenti, in Emilia Romagna (12.606 individui), in Lombardia (11.396 individui) e in Piemonte (10.150 individui). E ancora la comunità siriana maggiore è presente in Lombardia (1.914 individui), nel Lazio (981 individui) mentre gli afghani per la maggior parte sono nel Lazio (2.618 individui), in Calabria (1.063 individui) e in Puglia (1.015 individui). L’analisi per regione evidenzia che le comunità di iracheni più numerose si sono insediate nel Lazio (797 individui), in Calabria (608 individui), in Puglia (470 individui) e in Trentino Alto-Adige (414 individui). L’ultimo parametro preso in considerazione è stato quello del numero dei visitatori dei musei obiettivi sensibili del terrorismo. Un totale di oltre 59 milioni di visitatori. ll Lazio ha superato la soglia dei 23 milioni, la Campania poco meno di 9 milioni, la Toscana oltre 7 milioni. A seguire la Sicilia (5 milioni), il Trentino Alto Adige (3,4 milioni), il Piemonte (2,6 milioni), la Lombardia (2,6 milioni), il Friuli Venezia Giulia (1,4 milioni), l’Emilia Romagna (1,1 milioni) e il Veneto (1,1 milioni). E ancora, la Puglia (750mila), la Sardegna (556mila), la Valle d’Aosta (504mila), le Marche (497mila) la Calabria (489mila), la Liguria (257mila), la Basilicata (250mila), l’Umbria (248 mila), l’Abruzzo (123) e  infine il Molise (79 mila).

di Michelangelo Fanelli

Guerra in Siria tra raid aerei e costi esorbitanti

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Cosa sta realmente accadendo in Siria? Questa guerra che si protrae da ben sette anni vede protagonisti le forze presidenziali di Assad, i ribelli siriani, i curdi del Pkk nel Nord del paese e le rimanenti milizie del presunto Stato Islamico. Vi sono interessi e alleanze anche con le grandi potenze: i russi e gli iraniani sostengono Assad, gli americani e i loro alleati della NATO i ribelli siriani. La Russia punta a balcanizzare la Siria e allargare la sua zona di influenza mentre le potenze occidentali hanno bisogno del territorio siriano per la sua importanza geostrategica e soprattutto per il passaggio di un importante oleodotto. I bombardamenti, attuati da entrambe le superpotenze, si protraggono ormai da un paio di anni sul territorio siriano. L’attacco missilistico dello scorso 14 aprile ha avuto sicuramente più rilievo mediatico rispetto agli altri raid ed è stato di maggiore intensità. Il presidente americano Trump giustifica la violazione da parte della sua aereonautica dello spazio aereo di uno stato sovrano appellandosi al fatto di aver colpito siti di produzione di armi chimiche usate dal regime di Assad contro i ribelli. Il casus belli di Trump sembra rifarsi ad un pretesto non nuovo visto che nel 2013 per giustificarsi con l’opinione pubblica mandò immagini sui media, di cadaveri di ragazzini messi in fila uccisi da armi chimiche, alcune poi risultate false. Intanto questo gioco tra potenti è costato già 470mila vittime tra i civili e ha causato un esodo di massa portando una nazione al collasso.

I costi

Nel massiccio attacco della notte tra il 13 e 14 aprile, gli Stati Uniti hanno utilizzato diversi missili Tomahawk, missili a medio raggio con una gittata da 1.250 chilometri a 2.500 chilometri. Questi viaggiano relativamente a bassa quota e sono guidati da un sistema di navigazione avanzata. Nel bombardamento aereo gli Usa hanno lanciato tra i 120-130 missili Tomahawk da una nave da guerra e da bombardieri B-1B. Ogni missile Tomahawk costa in media 753.000 euro ma può arrivare anche a 1, 5 milioni di euro. Provando a fare due calcoli moltiplicando 120 missili per 753.000 l’uno abbiamo un totale di 90.360.000 euro. La Francia invece ha mobilitato 5 Rafale, 4 Mirage 2000-5 e 2 aerei di ricognizione Awacs che sono decollati venerdì da basi francesi, accompagnati da 5 aerei di approvvigionamento. I Rafale hanno sparato missili Scalp (della gittata di 250km). Ma non solo! In particolare i francesi hanno approfittato della micro-operazione per testare armi nuove. Tra i 12 missili francesi, tre erano missili da crociera navale MdCN. Questi missili da crociera hanno una gittata da 1.000 chilometri e una precisione dell’ordine del metro. Questi missili, sviluppati dal gruppo francese Mbda, sono molto costosi. Secondo la legge finanziaria 2015, in cui è registrato l’ordine d’acquisto, ogni missile costa 2,86 milioni di euro. Infine la Gran Bretagna ha lanciato missili Storm Shadow da 4 Tornado decollati dalla base Raf (Royal Air Force) di Akrotiri (Cipro). E’ molto probabile che siano entrati in azione anche i sommergibili britannici che erano stati spostati nelle acque di fronte alla Siria. Nel raid sono stati colpiti un centro di ricerca scientifica a Damasco e due impianti di stoccaggio di armi chimiche: uno a ovest di Homs e uno nei pressi di Homs.

di Alice Di Domenico, Domenico Pio Abiuso e Michelangelo Fanelli

Terrorismo rurale colpisce Munster

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Munster, 7 aprile 2018. Ritorna l’incubo terroristico; questa volta, però, a mettere in atto il folle e ripetuto gesto è un tedesco di 48 anni Jens R. Handeln, il quale con un furgone si è piombato sulla folla nel centro della città al confine con l’Olanda.  In seguito si è scoperto che l’attentatore aveva problemi psichici e quindi si presuppone che alla base dell’attentato non ci siano motivazioni ideologiche ma nessuna pista è esclusa. L'attacco risulta comunque differente dal terrorismo islamico “classico”. Infatti quest’ultimo ha come scopo quello di fare il maggior numero di vittime e quindi, come in alcuni casi realmente avvenuti, l’autista del furgone si sarebbe fermato davanti ad un ostacolo e sarebbe sceso armato, ad esempio con un coltello, per continuare a terrorizzare la folla. Ma in questo caso l’attentatore si è suicidato sparandosi un colpo di pistola. Nell’intervista di TGCOM24 con il giornalista Giannandrea Gaiani, si è discusso, di alcuni ambigui parallelismi con le date degli attacchi terroristici, ad esempio il 7 aprile 2017 ci fu l’attacco a Stoccolma, oppure il 22 marzo 2017 ci fu l’attacco a Londra mentre il 22 marzo del 2016 ci fu il primo anniversario degli attacchi di Bruxelles. Ma queste sono tutte ipotesi da verificare. Infine si è parlato di terrorismo “rurale” ad indicare che ora gli obiettivi ambiti non sono più le grandi metropoli ma città un po’ più piccole, facendo riferimento anche all’attentato di Carcassonne. Il direttore della rivista online Analisidifesa.it  chiudendo, ha ribadito che ancora bisogna studiare il personaggio per capire il motivo di fondo del gesto, ma che sicuramente era una persona in grado di intendere e di volere.

di Alice Di Domenico

Salvini, i profughi e le incoerenze

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Il segretario della Lega Matteo Salvini in visita a Campobasso lo scorso 16 febbraio al Grand Hotel Rinascimento ha rimarcato alcune questioni fondamentali in vista delle prossime elezioni politiche. Prima di tutto ha ribadito la sua linea politica improntata sul principio nazionalistico “prima gli italiani” affermando che i sindaci di sinistra cercano di riempire di finti profughi gli alberghi del Molise. Secondo stime ufficiali gli immigrati in regione sono circa 3.000 a fronte di 117 comuni, con una media di 25 migranti a comune. Il segretario della Lega, sicuro di divenire premier, ha inoltre dichiarato di essere in grado di impegnarsi per avere “meno sbarchi e più espulsioni”.  Successivamente Salvini ha ripercorso le tappe che lo hanno portato nelle maggiori piazze meridionali (Bari, Lecce, Matera, etc) incoerentemente con le linee programmatiche degli anni scorsi quando etichettava i meridionali come “terroni”, “fannulloni” o addirittura “troppo distanti dalla impostazione culturale, dallo stile di vita e dalla mentalità del Nord”. Attaccando la sinistra, il leader del carroccio, ha poi rincarato la dose accusandola di non avere più argomenti di cui parlare, colmando questo vuoto attraverso manifestazioni antifasciste e antirazziste che poi, in alcuni casi, sfociano in atti di violenza. Su quest’ultimo aspetto dobbiamo però ricordare che ultimamente i medesimi metodi aggressivi sono stati usati da ex-candidati del suo stesso partito politico, vedi episodio Luca Traini. In seguito Salvini ha spostato l’attenzione sul tema della violenza tirando in ballo per l’ennesima volta i migranti, prendendoli come capro espiatorio del male della società e attaccando la cultura islamica secondo la quale “la donna vale meno dell’uomo”, sostenendo che una ragazza non è libera di vestirsi come vuole perché spaventata “da questi ragazzi di colore”. Possiamo confutare prendendo in esame i dati pubblicati dall’agenzia stampa Adnkronos secondo cui nel 2016  in Molise ci sarebbero stati 66 casi di stupro (0,4%). Infine possiamo valutare il linguaggio utilizzato, classificandolo come un “linguaggio ad effetto” poiché condito di terminologie populiste come “politica del buon senso”, classificando le consultazioni del 4 marzo non come vere e proprie elezioni ma come una scelta di vita, ammiccando spesso ai suoi elettori.

di Alice di Domenico e Domenico Pio Abiuso

Sangue a Macerata

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La città marchigiana sotto shock. Nella mattinata del 3 febbraio Luca Traini alla guida di una 147 ha sparato circa trenta colpi di pistola in una zona popolata da immigrati, ferendone sei. Residente a Tolentino, il 28enne con ideologie legate all'estrema destra, aveva raccolto anche una discreta esperienza nel campo politico, candidandosi per la Lega Nord al consiglio comunale di Corridonia nel maceratese non ricevendo alcun voto. Successivamente si era avvicinato a Casapound e Forza nuova. A causa però dei suoi atteggiamenti pericolosi, Traini era stato dichiarato borderline dallo psichiatra. Nonostante ciò non era sotto osservazione delle forze dell'ordine. I problemi psicologici di Traini hanno subito una forte scossa in seguito a gravi problemi familiari essendo stato abbandonato da piccolo dal padre e recentemente cacciato di casa dalla mamma. Per via di questo ultimo motivo viveva dalla nonna.  La mancanza di una vera famiglia e di affetti aveva spinto Traini a rifugiarsi nelle ideologie fasciste, arrivando a commettere un gesto estremo dettato dall’odio razziale. Oltre però ai sei feriti, l'importanza che i media hanno attribuito all' accaduto continuerà ad avere ripercussioni ben più elevate a livello nazionale. L’atto terroristico è servito ad incutere timore tra i migranti e soprattutto a scuotere una tranquilla cittadina come Macerata.

di Antonio Falasca, Manuel Bacca, Pietro Salvatore, Francesco Russi e Simone Mastantuono.

Josef Mengele, il dottore della morte

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Molti furono “I professionisti del male” che servirono la macchina della morte nazista, dall’architetto Albert Spear al professore di lettere Joseph Goebbels fino al medico Josef Mengele. "Il dottore della morte" nasce nel 1911 Günzburg. Nel 1934 entra nel braccio paramilitare del NSDAP, le SA. Nel 1940 parte volontario per il fronte orientale ma viene ferito e così congedato dalla prima linea, tre anni dopo approda ad Auschwitz con il grado di capitano delle SS. Nel campo di sterminio nazista viene soprannominato “l'angelo bianco” per l'atteggiamento e per il camice che indossava quando si apprestava a scegliere chi avrebbe dovuto essere oggetto delle sue ricerche, chi avrebbe lavorato, chi era destinato alla camera a gas e chi sarebbe servito come cavia per i suoi esperimenti. Mengele si rende così conto che è libero di fare ciò che vuole sulle sue cavie senza avere alcuna ripercussione, uccide chi non è adatto ai suoi esperimenti a colpi di pistola o con il fenolo. I suoi studi riguardarono essenzialmente il fondamento biologico dell'ambiente sociale, la trasmissione dei caratteri e i tipi razziali, e infine le persone con elementi di anormalità prediligendo come cavie i gemelli e usando su di essi sostanze chimiche, iniezioni e mutilandoli. Addirittura vi è anche la testimonianza in cui tentò di unire due gemelli Sinti per creare una sorta di gemello siamese artificiale. Poco prima della liberazione del campo da parte dell’Armata Rossa, Mengele abbandona il campo con l’ordine verso i suoi sottoposti di uccidere con il gas i gemelli usati come cavie. L’ordine non fu mai eseguito a causa della penuria di gas.Nell'immediato dopoguerra cominciò la ricerca dei criminali di guerra nazisti e fra questi era ovviamente compreso anche Josef Mengele. Alla sua ricerca si dedicarono in particolar modo i servizi segreti israeliani Mossad, ma anche il governo statunitense e quello tedesco. Le modalità della fuga di Mengele furono simili a quelle di Adolf Eichmann: gli furono infatti forniti, con modalità non chiarite, dei documenti falsi da parte del comune italiano di Termeno, Tramin, in Alto Adige, che riportavano il nome di Helmut Gregor, nato nel comune stesso. Nel 1949 si imbarcò nel porto di Genova su una nave diretta in America meridionale, arrivando poi in Paraguay dove rimase diversi anni. Finché, allertato dall'avvocato di famiglia, fuggì prima a Buenos Aires, e poco tempo dopo, nel 1955, in Brasile, dove rimase per circa 25 anni fino alla morte. Durante questo lungo periodo Mengele visse dapprima con due sorelle ungheresi, poi con una famiglia del luogo, mantenendo inizialmente nascosta la propria identità. Se inizialmente adottò diversi nomi falsi, dopo alcuni anni decise di tornare a utilizzare il suo vero nome, convinto ormai di essere scampato alle ricerche. Tuttavia, a partire dalla cattura di Adolf Eichmann, avvenuta fra l'altro proprio in Sud America, Mengele cominciò ad allarmarsi. Ritornò quindi ad adottare una falsa identità e si spostò varie volte (fino a giungere in Brasile) cambiando diverse abitazioni. Nel periodo in cui visse in America Latina, lavorò come operaio nella stessa industria della famiglia Mengele, che anche in Sud America aveva degli stabilimenti. Morì nel 1979 colpito da un infarto mentre nuotava nell’oceano.

di Michelangelo Fanelli

Il bitcoin diventerà una moneta mondiale?

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Nel 2009 un inventore anonimo sotto lo pseudonimo di Satushi Nakamoto ha realizzato un nuovo metodo di pagamento che consiste in una criptovaluta denominata Bit Coin. Esso non è una moneta bensì un metodo di scambio volatile il quale valore è determinato da una leva di domanda offerta. Utilizza un database distribuito nella rete e sfrutta la criptografia per gestire gli aspetti funzionali come l'attribuzione di una proprietà di Bit Coin. Inoltre consente il possesso e il trasferimento anonimo delle monete. Al momento esistono un po' meno di 17 milioni di Bit Coin e ne vengono creati circa 100 ogni 40 minuti. Però non sono infiniti perché ne verranno creati 21 milioni. É da specificare che non vengono creati ma estratti, risolvendo un complicato problema crittografico il cui risultato è un Bit Coin. Per averne una grande quantità serve però una notevole quantità di energia, computer di grandi dimensioni e impianti di ventilazione per evitare che si surriscaldino. Il bit coin non è però legale in tutto il mondo;ci sono infatti Stati come Nepal, Bolivia e Vietnam nei quali è stata vietata qualsiasi operazione con criptovalute. A proposito pochi giorni fa la Bce ha lanciato un sondaggio su Twitter sull'argomento per quanto riguarda la possibilità di sostituire la moneta tradizionale con questa particolare criptovaluta  e il risultato è stato positivo per il 75%, negativo per io 13% e il restate 12% non ha espresso preferenze. Questo dimostra che per la popolazione potrebbe realmente diventare un'alternativa alla moneta, ma dal momento in cui ha riscosso questo successo è nata la paura che si tratti di una bolla speculativa. 
 
di Luigi Cerimele, Ilaria Dugo, Anna Sanità, Emanuele Saia, Gavio di Carlo

Il primo anno di Donald Trump

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A più di un anno dell’elezione di Donald Trump come presidente della repubblica statunitense, possiamo analizzare il suo periodo di “potere” come uno dei più movimentati della storia americana. Tra rivelazioni sconcertanti e avvenimenti che hanno riempito di parole le prime pagine di molte testate giornalistiche, ancora non riusciamo ad identificare la vera natura di questo presidente molto rivoluzionario: pazzo genio? Fatto sta che fino ad ora le rivelazioni da lui rilasciate sono state a dir poco sconcertanti: possibili attacchi nucleari e rivendicazioni agli attacchi terroristici in Medio Oriente, accompagnati da interviste capaci di mettere in pericolo la stabilità dei contatti internazionali con le altre superpotenze mondiali. In attesa di altri avvenimenti con un suo coinvolgimento possiamo raccogliere alcune sue frasi pronunciate in questo primo anno passato a Washington:  “Blocchiamo l'accesso dei musulmani negli Stati Uniti finché i nostri rappresentanti non avranno capito che succede!”, “Non è curioso che la tragedia a Parigi abbia avuto luogo in uno dei Paesi con il più rigido controllo sul possesso di armi al mondo?”, “Dobbiamo trovare il modo di chiudere internet per arginare il terrorismo” , “L’ effetto serra è una balla inventata dalla Cina”, “A New York si gela e noi abbiamo bisogno del riscaldamento globale”. Come potremmo definire questo curioso soggetto capace di sconvolgere tutto il mondo intero ma che, in alcune ipotesi molto fantascientifiche, potrebbe nascondere dietro queste rivelazioni una superba intelligenza?

di Alex Di Ciocco, Marino D'Onofrio, Marco Andretta e Valerio Bianchini

Il 38° parallelo tra luci e ombre: disgelo definitivo?

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Le Olimpiadi invernali 2018 in Corea Del Sud sono ormai vicine. Nonostante la storica rivalità con la Corea Del Nord, in occasione dei 23esimi giochi olimpici invernali, potrebbero esserci segnali di distensione tra i due Stati in conflitto dagli ormai lontani anni '50. Il ministro dell'Unificazione del Sud Cho Myoung-gyon e il capodelegazione nordcoreano Ro Son Gwon, si sono incontrati nel villaggio smilitarizzato di Panmunjom. Questo incontro può essere non solo una possibilità per le due Coree di riunirsi pacificamente, ma è un'ottima chance per risolvere la questione nucleare nordcoreana. L'Inghilterra si è detta favorevole ai progressi fatti dai due Paesi. “È grandioso che vi siano stati colloqui” queste le parole del ministro degli Esteri inglese Boris Johnson. Poi aggiunge "È grandioso che vi sia una tregua olimpica”. “La Corea del Nord e Kim jong-un stanno continuando a portare avanti il loro programma illegale” la replica dell'Inghilterra che condanna i test nucleari eseguiti dai nordcoreani. Parole che fanno seguito a quelle di Papa Bergoglio “Ho davvero paura dello scoppio di una guerra nucleare, siamo al limite. Basta un incidente e la situazione rischia di precipitare”. Parole forti quelle del Pontefice che mirano a fermare il continuo battibecco tra il presidente Usa Trump e il dittatore nordcoreano. In ogni caso, è necessario ammettere che i due capi di Stato, attirano sempre di più le attenzioni dei media grazie alle loro dichiarazioni fuori dalle righe e poco diplomatiche, come il loro ruolo richiederebbe.

di Antonio Falasca, Manuel Bacca, Pietro Salvatore e Simone Mastantuono

Fake news, Salvini condanna il Parlamento Europeo

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“Mi scuso col pubblico che sta seguendo qui questi deliri. Secondo me, non siete normali. Ci sono 20 milioni di disoccupati in Europa, c’è il terrorismo islamico, c’è un’immigrazione fuori controllo. E voi con cosa impegnate il Parlamento Europeo, peraltro deserto? Sul bavaglio a Facebook e sulle fake news. Voi dovreste essere curati da un medico bravo”. Queste sono state le parole pronunciate da Matteo Salvini alla riunione al Parlamento Europeo nel marzo 2017. Il leader leghista ha messo in dubbio la democrazia del Parlamento dichiarando: “State attenti che se applaudite vi buttano fuori…Io aspetto che il Parlamento si paghi la psico-polizia per indagare i psico-reati per quelli che non sono allineati al pensiero unico e alla moneta unica”. Salvini ha così continuato il suo intervento sempre in modo schietto e diretto sostenendo che per il Parlamento europeo ogni linea di pensiero contraria alle sue idee su immigrazione, adozioni gay, chiusura dei campi rom sta a significare razzismo, omofobia e islamofobia. “Il Parlamento Europeo non è stato in grado di controllare le menti degli Europei nelle urne. Ne sono esempio il referendum in Gran Bretagna e le elezioni in USA”. Infine ha chiuso il suo breve intervento sostenendo “Viva la rete e viva Facebook”. Matteo Salvini si dice sì “fortemente preoccupato dalle fake news”, ma non da quelle pubblicate su Facebook, bensì da “quelle che vendono giornali e tg sulle bugie del governo su tasse, immigrazione e falsa ripresa economica”. A completamento di tutto ciò una inchiesta giornalistica apparsa sul New York Times, basata sul fatto che la Russia di Vladimir Putin abbia compiuto “interferenze”, utilizzando soprattutto fake news veicolate via web, per favorire Lega e M5S così come nelle recenti campagne elettorali di Usa, Francia e Germania, oltre che nei due referendum sulla Brexit e sull’indipendenza della Catalogna dalla Spagna. Secondo il Times “molti analisti considerano l’Italia come l’anello debole” della Ue. Il quotidiano americano informa anche che “rappresentanti di Facebook” avrebbero promesso al governo italiano di avere intenzione di “schierare una task force italiana di fact-chekers per affrontare il problema delle fake news prima delle elezioni”.

di Alberto Petruccelli e Luca Sarrapochiello

Isis e il rischio di attentati natalizi

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“Soon at Christmas”. Inizia così l’avvertimento da parte dell’Isis dove si annuncia l’intenzione di attaccare nuove zone, tra cui anche l’Italia, o meglio il Vaticano. La minaccia, sotto forma di una semplice cartolina, è stata pubblicata sul sito online Site Intelligente Group, il quale ci offre una veduta a 360° di precedenti e futuri attentati terroristici. Potremmo iniziare con il parlare del terrore e del panico di quel fatidico 11 settembre 2001, quando persero la vita circa 3000 persone. Due aerei si schiantarono volontariamente contro le torri gemelle, facendo così crollare i due colossali grattacieli. L’attacco, rivendicato da Al Qaeda, rimarrà per sempre uno dei più atroci eventi che colpirono l’America e sconvolsero il mondo intero. Qualche anno dopo, esattamente il 7 gennaio 2015, il presunto Stato Islamico colpisce ancora spostandosi nella capitale parigina dell’amore. L’attentato avvenne alle sede di Charlie Hebdo, contro articoli di satira che avevano come protagonista principale Maometto. Il 13 novembre dello stesso anno Parigi fu luogo di altri attacchi, il principale fu proprio quello del teatro Bataclan. Si tratta di una sparatoria a sangue freddo contro persone che si stavano divertendo sulle note della allegra e movimentata musica della discoteca. Dai video pubblicati si percepisce la paura e l’atrocità dell’evento. Il 14 luglio dell’anno successivo, nella città francese di Nizza, persero la vita 86 persone a causa del tir volontariamente indirizzato sulla folla da uno dei jihadisti.  Il 22 maggio dell’anno corrente, invece, l’Isis si è concentrato nell’attacco di teenager inglesi radunati a Manchester per il concerto della celebre cantante statunitense Ariana Grande. Ma come riescono gli jihadisti a reclutare nuovi aspiranti terroristi? Il principale metodo di reclutamento è sicuramente internet, con il quale lo Stato Islamico aggancia giovani per poi trasformarli in veri e propri angeli della morte. I principali social network utilizzati sono in particolar modo Instagram, Facebook, Twitter, Skype ed, infine, Whatsapp. Gli ultimi mezzi ad essere usati per il reclutamento sono i videogiochi, in particolare quelli trattanti la guerra come GTA e Call of Duty. La domanda sorge spontanea: riuscirà l’Isis a reclutare nuovi giovani per il presunto attacco che avrà luogo in Italia?

di Alessia Trotta, Camilla Calvano, Cettina di Cesare, Chiara Barone

Divinità o dittatore?

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Nel secolo scorso, soprattutto nei paesi sottosviluppati, hanno preso potere personaggi folli e despotici, quasi tutti con gli stessi metodi, ad esempio attraverso il populismo. Un esempio che riportiamo è quello di François Duvalier anche detto “Papa Doc”, il quale capì che gli stregoni vudù avevano una grande influenza sulla popolazione poco istruita di Haiti. Di professione medico, Duvalier dopo essere stato in coma si presentò molto cambiato, con le sembianze di Baron Samedi, la divinità vudù, diffondendo il terrore tra i cittadini nei suoi confronti. Oltre al vudù, il suo potere si basava sulle scorribande dei «tonton macoutes», criminali assoldati dalla polizia politica per intimorire, torturare ed eliminare fisicamente gli avversari.  Inoltre, per affermare la sua leadership fece stampare molti manifesti che lo ritraevano insieme a Gesù Cristo con quest'ultimo che dichiarava “Io l’ho scelto”. La sua insistenza nel riferirsi al culto vudù avrebbe in seguito provocato le ire del Vaticano, sino alla scomunica del futuro dittatore, malgrado il Cattolicesimo fosse formalmente rimasta la religione di Stato ad Haiti. Papa Doc violò la costituzione, che non consentiva di ricoprire la carica di presidente per più di due mandati. Kennedy, presidente degli Stati Uniti nel 1962, fu ostile alla sua politica sospendendo gli aiuti per Haiti. Nel 1963 il presidente americano fu assassinato e gli aiuti ripristinati. La morte di JFK non fece che alimentare il terrore tra la gente, dato che il dittatore di Haiti dichiarò di aver  fatto un sortilegio vudù contro Kennedy, e che non era stata una coincidenza che l'assassinio fosse avvenuto il 22 novembre, poiché il 22 era il numero preferito di Duvalier, il giorno in cui era diventato per la prima volta Presidente. Papa Doc era ormai riuscito a convincere buona parte del suo popolo che chiunque ostacolasse i suoi voleri fosse destinato a morire. Infatti le sue vittime furono circa 30 000. 

di Alice Di Domenico

Gli spettri del neo-fascismo che aleggiano nell’arma

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La drammatica notizia fa riferimento ad un video girato a Firenze davanti alla caserma Baldisserra in cui si intravede esplicitamente un simbolo neo-nazista in una camera al secondo piano dell’edificio occupata da un militare ventitreenne. Il carabiniere sostiene di non essere legato a formazioni neo-fasciste, ma di essere soltanto un appassionato di storia. A screditare questa affermazione accanto alla bandiera della Kaiserliche Marine, simbolo usato da molti gruppi neo-nazisti, è stata rinvenuta una immagine del leder della destra populista e xenofoba Matteo Salvini. La Benemerita si è detta disposta ad indagare sul fatto. Inoltre anche la ministra della Difesa Pinotti ha chiesto chiarimenti, mentre l’Anpi si è detta disgustata del fatto avvenuto proprio nella città di Firenze, medaglia d’oro alla resistenza e soprattutto in una caserma dell’Arma dei Carabinieri che tanto ha contribuito alla resistenza al nazifascismo. Il procuratore militare Marco De Paolis ha dichiarato di aver avviato un'indagine sulla vicenda della bandiera neonazista. “Probabilmente non è stato commesso nessun reato militare, ma c'è un problema disciplinare e un grande problema culturale” queste le sue parole. Bisognerebbe ricordare al giovane militare di questo fetido scandalo e ad altri membri dell’arma pervasi dalle stesse idee, la storia del brigadiere Salvo D’acquisto che sacrificò la sua vita per salvare 22 persone rastrellate per rappresaglia dai nazisti.

di Michelangelo Fanelli

“Come abbiamo fatto l’America”, la serie che racconta la storia dell’emigrazione in USA

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La miniserie tv andata in onda su History Channel e tutt’ora disponibile sulla piattaforma on demand, racconta dei grandi contributi al progresso e alla creazione degli U.S.A dati dall’ emigrazione verso la nazione a stelle e strisce. La miniserie illustra tramite episodi commentati da esperti di vari settori e professionisti su come l ’emigrazione olandese abbia contribuito alla fondazione di New York, sul fatto che dieci dei soldati unionisti durante la Guerra di secessione abbiano avuto origine tedesca, su come gli  scandinavi abbiano popolato il Midland dando inizio all’industria del legno americana, su come i cinesi abbiano contribuito alla costruzione del sistema ferroviario statunitense o su come gli italiani abbiano costruito la maggior parte degli edifici nella Grande Mela. La miniserie cita anche le cause di questo fenomeno usando esempi come i pogrom nell’ Est Europa che hanno costretto centinaia di migliaia di ebrei a trasferirsi negli U.S.A. o la carestia di patate, elemento chiave della dieta irlandese, che costrinse migliaia di persone a emigrare dall’isola. La serie adatta a tutti può darci un insegnamento su come la circolazione di individui e di conseguenza di idee abbiano costruito una nazione.

di Michelangelo Fanelli

American Guns, quando le armi comandano

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Di eventi emblematici riguardo la  detenzione sulle armi da fuoco in America ne abbiamo tanti: dal massacro della Colombine High School nel ’99 dove morirono 12 studenti e un insegnante all’ultima strage in Texas nella quale ci sono state 25 vittime. Perché gli americani sono così ossessionati dalle armi? Facciamo un salto nel passato; nel 1776, durante la rivoluzione Americana, ci furono delle milizie che si ribellarono contro gli inglesi usando armi da fuoco basandosi sul diritto di possedere armi. Questo sarebbe il famoso Secondo emendamento il quale recita “Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto”. Bisogna considerare però che i tempi sono decisamente differenti, con armi molto diverse: allora avevano moschetti che sparavano al massimo 2 o 3 colpi al minuto, oggi abbiamo armi automatiche che arrivano a sparare anche 100 colpi al minuto. Un altro fattore è la facilità nel procurarsi armi. Infatti esse si vendono anche in delle fiere e i controlli sugli acquirenti sono effimeri. Il risultato è evidente considerando il rapporto tra armi e cittadini; 89 armi da fuco dichiarate legalmente ogni 100 americani. Non solo, la facilità con cui gli adolescenti reperiscono queste ultime è incredibile tanto da avere una media di 59 vittime in sparatorie nelle scuole. A tutto ciò si aggiungono le armi modificate, da semi-automatiche ad automatiche, capaci di sparare fino a 800 colpi al minuto tenendo premuto il grilletto rispetto ad un’arma normale che può sparare un colpo singolo. La cultura delle armi è profondamente difesa dalla lobby NRA (National Rifle Association), molto influente politicamente, che rifiuta la maggior parte delle riforme sulla detenzione di armi per evitare questi tragici eventi. Non a caso negli USA ci sono più armi che cittadini. Lo stesso Trump temporeggia su queste riforme per non intralciare gli interessi della potente  lobby: “limiti alle armi? C’è tempo … il killer è un folle molto malato” queste le parole del presidente riguardo la strage del 1 ottobre a Las Vegas. Nonostante i continui rimandi di Trump, i democratici hanno chiesto una commissione ad hoc per lavorare ad  una nuova normativa.
 
di Alice Di Domenico e Michelangelo Fanelli
 

Thomas Sankara, Africa e Libertà

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A trenta anni dalla sua morte ricordiamo uno dei più grandi rivoluzionari della storia del continente africano: Thomas Sankara. “Il fratello giusto”, così soprannominato dalla popolazione burkinabè, nacque nel 1949 e seguendo  le orme del padre, divenne militare di carriera. In breve tempo  all’interno della mente del giovane ufficiale iniziarono ad annidarsi idee socialiste. Il 4 agosto 1983, il trentacinquenne Capitano dell’esercito dell’Alto Volta, tentò un golpe e grazie al supporto popolare il giovane socialista si ritrovò al governo. Uno dei suoi primi provvedimenti da primo ministro fu quello di cambiare il nome della sua nazione da Alto Volta, che era un nome che sapeva ancora di colonialismo, in Burkina Faso (letteralmente “La patria degli uomini liberi”). Arrivato al governo Sankara trovò una patria dilaniata dalla povertà, dove il 98% della popolazione era analfabeta. Le sue riforme si concentrarono subito su questi aspetti. In poco tempo nazionalizzò le miniere fino ad allora in mano a multinazionali straniere, istituì presidi medici e scuole gratuite nei villaggi, piantò migliaia di alberi per far fronte alla desertificazione e diede dei tetti agli stipendi dei suoi collaboratori. Il popolo adorava questo giovane militare socialista che al contempo si fece tantissimi nemici tra cui l’elitè  politica dei paesi che lo circondavano, spaventati da possibili ripercussioni e i leaders occidentali che avevano troppi interessi per permettere il benessere nel continente nero. Il 29 luglio del 1987 in un discorso agli altri leaders africani “Il Che d’Africa” invitò a non pagare il debito dei propri paesi verso l’Occidente, affinché quei soldi servissero a risanare le proprie economie attraverso riforme sociali. Un modo per non arricchire i loro ex carcerieri che ancora oggi attraverso gli interessi delle proprie multinazionali continuano a sfruttarli. Tre mesi dopo il suo discorso anti-imperialista il 15 ottobre del 1987 venne assassinato ed il potere passò al suo vice Blaise Compaorè, che governò con il bene placito dell’Occidente per 27 anni. Le riforme di Sankara vennero revocate ed il Burkina Faso ritornò a livelli di arretratezza, con un alto tassi di povertà e disuguaglianza sociale che ancora oggi lo contraddistinguono. Conoscere la storia di Sankara ci serve a capire le condizioni odierne del continente nero, il perché di tutta quella povertà, di tutti quei conflitti.

di Michelangelo Fanelli

Lo spettro che si aggira per l'Europa

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Cito Marx, ma nulla c'entra con il suo celebre aforisma tratto dal saggio del filosofo “Il manifesto del partito comunista: “Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo”. Questo nuovo “spettro” totalmente avverso all’ideale marxista è quello della pericolosa destra populista Questa nuova “peste” che tenta di penetrare la democrazia europea nata proprio per combattere queste macabre idee che hanno portato il nostro continente ad una delle le sue più grandi catastrofi (la Seconda Guerra Mondiale) ha già mietuto le sue prime vittime. In Italia si va sempre più rafforzando con personaggi che difficilmente riesco a considerare miei connazionali. In Francia, il Front Nazional è arrivato perfino al ballottaggio. In Germania, la nazione che dovrebbe avere più paura di questo flagello, nelle elezioni del 24 settembre la destra populista e xenofoba è arrivata terza dopo C.D.U. ed S.P.D. due partiti storici nella democrazia tedesca. I metodi per influenzare le masse di questi pseudo politici sono sempre gli stessi. Per esempio far leva sui lievi problemi ed elevarli a cause del malessere dello stato, come l’immigrazione che viene demonizzata oppure il cercare di trarre consenso da una sorta di nuovo sottoproletariato che non ha i mezzi per difendersi dalle loro parole e che si lascia trasportare da questi pseudo ideali o dalla parte del popolo frustrata ed amareggiata. Credo che la storia politica abbia già vissuto un periodo simile e tutti sappiamo come è andato a finire.

di Michelangelo Fanelli

Omaggio alla Catalogna

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E' opportuno citare Orwell per riportare ciò che è successo ieri nella storica regione ribelle. La Catalogna non si è mai sentita legata all’unità nazionale spagnola durante la sua storia e la sua emancipazione è stata sia repressa che autorizzata.  Ad esempio durante il franchismo la Catalogna non ha potuto nemmeno usare la propria lingua, punita a causa della sua posizione nella coalizione repubblicana durante la guerra civile. Il popolo catalano ieri, 1 ottobre 2017, si è espresso favorevolmente alla sua indipendenza con grande affluenza e partecipazione nonostante la repressione del governo centrale spagnolo. I catalani sono riusciti ad esprimere il loro diritto di voto resistendo alle provocazioni della Guardia Civil, culminate con il ferimento durante gli scontri di oltre 844 persone. Le misure adottate dal popolo per esercitare i propri diritti sono state coraggiose, piene di ideali e sogni: da coloro che hanno resistito con barricate alle cariche della polizia ordinate dal governo spagnolo a chi è andato a votare con un foglietto fatto in casa aspettando ore in fila a causa dei disagi causati dalla Guardia Civil che ha sequestrato numerose schede e seggi. La domanda ora  è che cosa succederà se il governo spagnolo non darà il consenso alla sua provincia più ricca di separarsi? Speriamo soltanto che lo spettro di una guerra non aleggi sopra la Spagna.

di Michelangelo Fanelli

La Catalogna ad un bivio

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Negli ultimi giorni si è sentito molto parlare dei disordini avvenuti in Catalogna, provocati dalla volontà di quest’ultima di rendersi indipendente e non essere più assoggettata al governo di Madrid. Notizia che ha causato non poco scalpore tra la collettività Europea, soprattutto dopo la violenta reazione da parte della cosiddetta “Guardia Civil” ovvero la polizia spagnola che risponde direttamente al governo centrale.  Ma a cosa è dovuta questa, apparentemente improvvisa, onda patriottica da parte dei cittadini catalani? Partendo dal principio, la Catalogna è una comunità spagnola che gode di una certa autonomia. Di conseguenza l’area possiede un proprio parlamento ed un proprio governo, con a capo il presidente. Nonostante, però, ci sia un’ampia autogestione, la comunità risponde ugualmente all’ordinamento giuridico nazionale ed alla corte costituzionale. Ciò che però rende davvero importante la regione è l’enorme quantità di ricchezza che viene prodotta al sui interno, infatti oltre un quinto del PIL spagnolo deriva dalla Catalogna, con un valore pari a circa 200 miliardi di euro ed oltre 600mila imprese attive, numeri paragonabili a quelli del solo Portogallo. Ma i dati positivi non sono finiti. Le esportazioni sono in aumento dal 2003 arrivando fino al 35% del prodotto interno lordo con il solo settore industriale che risulta presente per oltre il 21% della ricchezza totale, addirittura più della Spagna. Sono anche aumentati i posti di lavoro con costante diminuzione della disoccupazione giovanile. Insomma un vero e proprio modello economico che punta prevalentemente al settore dei trasporti, chimico ma anche farmaceutico. È osservabile però che anche il debito pubblico è cresciuto, seppur in misura proporzionale, per oltre tre volte la media europea. Ed è qui che gran parte del popolo si è accorto dell’autosufficienza della propria regione arrivando più volte a chiedere e manifestare per la sua indipendenza e facendo leva sulla motivazione secondo la quale potrebbero gestire e reinvestire autonomamente i ricavi provenienti dalle proprie imprese piuttosto che versarli al fisco spagnolo. A questo punto, dopo molte proposte arrivate dal governo catalano e respinte dal governo centrale, il 9 giugno 2017 una legge del parlamento regionale ha indetto un referendum di indipendenza di natura vincolante da svolgersi il primo ottobre dello stesso anno. Veloce e schietta è stata la risposta di Madrid che ha dichiarato subito anticostituzionale tale decisione, mettendo rapidamente al bando la proposta di referendum. Oltre il 42% del popolo catalano, però, non l’ha pensata allo stesso modo, decidendo lo stesso di votare andando di fatto contro gli ordini dello governo di riferimento. I risultati sono stati quelli a cui tutti hanno assistito; abuso di violenza da parte della polizia spagnola mandata direttamente da Madrid per ostacolare il voto, attraverso un uso eccessivo della forza in nome della legalità. Deludente è stato, invece, il silenzio dei vertici europei nei confronti di una così brutale reazione. Al di là dei disordini più volte condannati dall’opinione pubblica c’è da dire che molte società catalane adesso temono risvolti negativi sui proprio volumi d’affari se dovesse esserci l’effettiva secessione. Si, perché anche se il referendum è stato dichiarato illegale, il premier Catalano Puigdemont potrebbe indire una dichiarazione di indipendenza unilaterale. Il parlamento europeo prova a scoraggiare il governo regionale dichiarando che anche se ciò dovesse accadere, la Catalogna non sarà ugualmente riconosciuta come paese nello scenario internazionale. Questo però non importa alle grandi società quotate in borsa che vedono il reale pericolo di subire perdite legate ad un possibile scenario semi-indipendentista, di conseguenza grossi colossi bancari come Caixabank e Banco Sabadell, il cui valore complessivo di mercato supera i 35 miliardi, hanno chiesto di poter spostare la propria sede legale fuori dalla Catalogna. Questo ha causato un vero e proprio effetto domino, trascinando non solo il settore bancario ma anche quello industriale e dei servizi, difatti anche Abertis, società da 16 miliardi leader nei traporti, e Gas Natural, colosso dei servizi dal valore di 20 miliardi, hanno chiesto di poter trasferire formalmente la loro collocazione. Inoltre le agenzie di rating Moody’s e Fitch si preparano a tagliare il giudizio di solidità economica della Catalogna se il premier dovesse formalizzare l’indipendenza. Ciò causerebbe un sostanziale paradosso perché le ragioni per cui il popolo ha chiesto l’indipendenza non sarebbero più valide in quanto, se le società sopracitate dovessero realmente attuare una fuga di capitali, la Catalogna non potrebbe più vantare utili e risultati finora dimostrati nei confronti della Spagna.

di Gabriele Calabrese

Fuoco a Las Vegas durante un festival country

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Erano le 22:30 quando il 64enne, Stephen Paddock, affacciato dal trentaduesimo piano del casinò-hotel di Mandalay Bay ha iniziato a sparare sulla folla che assisteva al concerto del cantante Jason Aldean. Il bilancio attuale è di 50 morti e 500 feriti ma la motivazione del gesto è ancora ignota. Dopo la strage l’assalitore si è ucciso nella stessa camera da cui ha sparato. L'analisi sul comportamento dell’uomo ha rivelato che si era preparato in modo scrupoloso. Probabilmente ha eseguito dei sopralluoghi in precedenza e si è portato dietro molte munizioni arrivando ad imitare tecniche terroristiche. Paddock aveva nella camera d'hotel almeno otto armi da fuoco, così come riportato dalla polizia. Non ci sono altri sospettati in zona ma si è alla ricerca della compagna dell'omicida, Marilou Danely. Dagli ultimi aggiornamenti una donna risulta in stato di fermo e la polizia presume che possa trattarsi proprio della ricercata. E’ la più grande strage negli USA addirittura per numero di feriti superiore anche a quella del night club di Orlando del 2016 dove furono uccise 50 persone e ferite 53. 
 
di Alice Di Domenico