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Storia militare

Storia del Distretto Militare di Campobasso (undicesima parte)

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In quei giorni di estrema confusione e di fame, la Caserma “G. Pepe” subì il suo primo sfregio, nei giorni 8 e 9 Settembre, la popolazione campobassana, con il favore di un caporale e due soldati tedeschi, assaltò la caserma, razziando viveri, vestiario e suppellettili varie. Gli stessi tedeschi, inoltre, sotto l’occhio attento di una cinepresa che filmava la scena, per poi propagandare di come aiutassero gli italiani, dalle finestre dell’ultimo piano, buttarono in strada coperte ed indumenti.
Le truppe alleate, nel frattempo risalivano celermente la penisola senza incontrare, fino a quel momento, grandi difficoltà.
Fu proprio la conformazione geografica del Molise che permise ai tedeschi di approntare in un primo momento tre linee difensive “ritardatrici” (Viktor, Barbara, Bernhard), al fine di rallentare la marcia avversaria, poi, per formare, lungo la catena montuosa delle Mainarde, la prima grande linea difensiva sul suolo italiano, la “Linea Gustav”, per sbarrare la strada all’avanzata alleata. Il Molise, che già assaggiò il sapore della guerra con il bombardamento di Isernia del 10 Settembre e lo sbarco a Termoli, il 3 ottobre, delle Brigate speciali inglesi, fu la porta d’ingresso per l’8a Armata Britannica.
Nella notte tra il 5 e il 6 Ottobre, le forze della 3a Brigata Canadese, ricevettero l’ordine di iniziare immediatamente gli sforzi per l’attraversamento del Fortore, partiva così la fase delle operazioni per la presa di Campobasso.
Le operazioni, rese difficili per la distruzione del ponte 13 Archi da parte da parte dei genieri tedeschi, vide una prima fallimentare azione da parte del “Royal 22° Regiment”, respinto da un Battaglione del 15° Reggimento della 29a Divisione Panzegranadier.
L’attacco successivo, preceduto da un intenso fuoco di artiglieria, vide protagoniste le compagnie d’assalto del “Carleton and York” e quelle del Battaglione “Wst Nova Scotia”, che mossero direttamente verso l’abitato di Gambatesa. Con l’occupazione di Gambatesa e l’arretramento delle forze tedesche, si apriva, attraverso la valle del tappino, la strada verso Campobasso.
Alle ore 9:20 del 14 ottobre, sotto una sottile pioggerellina, i Royal Canadien Regiment, tra due ali di folla festante, entrarono in Campobasso. La città venne prima resa sicura, posizionando sulle sue alture postazioni di artiglieria contraerea e poi trasformata nella sua toponomastica, venne così ribattezzata “Canada Town”.
Purtroppo i guasti alla città, prodotti dai genieri tedeschi, risultarono ingenti.
Le truppe germaniche, ormai in ritirata presso la “Linea Gustav” per rallentare l’avanzata nemica, distrussero la linea ferroviaria Campobasso-Isernia, l’ufficio postale, il gasometro, tutti i mulini della città, e diedero alle fiamme la Caserma “G. Pepe”, procurando ingenti danni.
 
di Antonio Salvatore
 

Storia del Distretto Militare di Campobasso (decima parte)

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In questo turbinio di eventi, condito da incertezza, paura, stanchezza e soprattutto voglia di rinascita, è quanto mai interessante la lettura di tre documenti, due cartoline ed un racconto di memorie, riguardanti tre allievi del XII Battaglione d’Istruzione di Campobasso. Nelle due cartoline è chiaramente riscontrabile come, già prima della caduta del Fascismo, quella incrollabile “voglia di vittoria” e ferrea disciplina erano venute meno, anzi, si denota stanchezza e addirittura sfumature di scherno nei riguardi delle Autorità. La prima cartolina, datata 9 Aprile 1943: Faccio progressi. Sono stato consegnato per altri 10 giorni. Motivo: mangiava durante l’istruzione. Sto molto bene. Baci a tutti Raffaele. La seconda cartolina, datata 23 Maggio 1943: Io   spero  che  quando  riceverai   la  presente   mi  avrai  di  già   spedito   il  vaglia,  in  caso contrario ti supplico di farlo subito telegrafico, tu non puoi immaginare quanto si soffre quando   si   sta   per   intere   settimane   senza   un   soldo.   Scrivi   presto   e   a   lungo.   Baci, Arcangelo. Di assoluto interesse storico riveste il terzo documento, uno scritto di Enzo Santarelli, dove possiamo rilevare che proprio all’interno della Caserma “G. Pepe”, si attuarono le prime forme di “resistenza passiva” dei militari italiani nei confronti del Regime Fascista: All’   inizio   del’43   partii   con   altre   reclute,   per  una   prima   destinazione   meridionale. Indossammo la divisa e ci fu ordinato di cucire le mostrine in una caserma di Chieti, proseguimmo quindi per Campobasso, dove era dislocato il XII Battaglione Istruzione.[…] Ebbe inizio così la nostra carriera di allievi ufficiali di fanteria. […] La grande caserma di Campobasso, quadrata e su due piani, in cui si sarebbe svolta la nostra vita per qualche mese, era adiacente alla piazza Vittorio Emanuele, al centro della parte moderna della città. Fra i giardini e il corso si svolgeva il passeggio delle ore libere; […] Il Molise aveva dato i natali a Gabriele Pepe, […] e un monumento lo ricordava. A quella statua un piccolo gruppo di noi soldati, allievi ufficiali dell’ultima leva del regime, avrebbe fatto riferimento poco più avanti nel disegno  di un’insurrezione o rivolta militare soltanto immaginata e rimasta senza traccia. L’istruzione non era certo eccellente: marce fuori città, nella zona di Ripalimosani  all’incrocio  di un tratturo, primitive ed elementari simulazioni di “avvicinamento” al nemico, esercizi di tiro in un rustico poligono immerso nella campagna. La solita disciplina formale non arricchiva e nemmeno attutiva la noia di quel provvisorio soggiorno. Tuttavia, affiorava tra noi la tra trama di incontri fra gruppi di amici e corregionali, che si andava svolgendo nell’ambito dei singoli reparti. […] Il passare del tempo   e   gli   eventi   sui   fronti   di   guerra   –   la   ritirata   dall’Africa,   lo   sbarco   in   Sicilia;   il bombardamento di Roma – intensificarono le nostre reazioni. A una di queste notizie (nel reparto c’era polemica fra il nostro disfattismo e la prudenza degli altri) ricordo che alcuni di noi si abbracciarono sull’alto di una collina in una pausa delle esercitazioni, come segno di gioia per la conferma che ci veniva dai fatti…Una Sera innalzammo in camera un improvviso catafalco per celebrare   la   resa   dell’armata   italiana   in   Tunisia.   […]  Al   piano   terra   della   caserma   erano comparse scritte allusivamente antifascista, e inneggianti alla libertà, che suscitarono un vespaio. Quando,   per   la   ricorrenza   del   24   maggio,   fummo  radunati   in   piazza,   con   altri   pezzi   della cittadinanza, ad ascoltare il federale di Campobasso, consistenti grange del nostro battaglione ne seguirono il discorso sdraiandosi provocatoriamente a terra. La prima domenica di giugno fummo convocati nel cortile della caserma per ascoltare un giovane ufficiale (forse tenete Bertolla, un docente universitario di Vicenza) che seppe muoversi sul filo del rasoio parlando dello Statuto del Regno, ma in modo trasparente e senza retorica. […] Il seme che si era formato nella fronda di Campobasso stava dando  qualche esile frutto.
 
di Antonio Salvatore 
 

Il Gen. Gabriele Pepe (seconda parte)

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L’affronto non poteva avere altro epilogo se non un duello, che si svolse il 19 Febbraio del 1826 fuori porta San Frediano a Firenze. Così, dalla lettera scritta da Gabriele Pepe al fratello il 21 Marzo 1826: 
Forse ti è noto che un tale Lamartine pubblicò l’anno scorso una sua poesia,  in cui versava vituperi a piene mani sull’Italia. […] il Governo Granducale,  per i riguardi debiti a un diplomatico francese, non concedea il permesso della stampa. In questo stato di cosa uscissi il mio Cenno, ed uscì sol perché la zampata data  al poeta dell’Ultimo Canto di Childe Harold passò inosservata dalla Censura. […] Alcuni giorni dopo della pubblicazione, Lamartine mi scrive chiedendo se  il verso di Omero, da me citato sul suo conto, era stato vibrato alla sua poesia o alla sua persona […]. A questa prima lettera successe un’altra, in cui rinnovava la richiesta, ed io rinnovai la negativa. Finalmente in una terza mi domandò un abboccamento. Non potendomi rifiutare gli feci sapere che io ero reperibile in mia casa ogni giorno fino all’una pomeridiana. Venne gli infatti il dì 13 febbraio: lo ricevei con la tutta possibile cortesia; […] Tratta vasi con un francese, il quale aveva dipinto come assassini, buoni a dar solo pugnalate di notte a tradimento. Bisognava dunque fargli vedere col fatto che gli italiani sono più cavalieri dei francesi […]. Venne dunque Lamartine, e mi chiese a voce quella spiegazione. Gli dissi che avendola due volte rifiutata per iscritto, gli inspirerei poca buona idea dandola oralmente. Allora mi aggiunse che si vedeva costretto a richiedermela con le armi in  mano. A questa proposizione risposi che io ero sempre ai suoi ordini. Voleva egli battersi in quel giorno stesso, mi rifiutai, poiché andava esso al quanto zoppo per essere caduto da cavallo giorni innanzi. Io non mi misurerò con voi, aggiunsi, se non quando sarete perfettamente sano e padrone del completo esercizio di tutte le vostre membra […]e  risolvemmo di misurarci la mattina del 19 prima delle 11. Gli dissi l’imbarazzo del padrino e che a me non conveniva compromettere chicchessia. Il vostro, soggiunsi, sarà anche il mio. […] Lamartine volle assolutamente un quarto. Sceglietemelo voi stesso dunque, ed io l’avrò come se fosse scelto da me medesimo.  Mi nominò allora e fece chiamare un tale Villemill che io non punto   conosceva e che  vidi per la prima volta. Eccomi dunque un po’ troppo azzardosamente solo fra tre incogniti; fra tre non italiani, […] solo e senza aver neppure la spilla della camicia per arme. Ti dico questa circostanza perché è stata quella che ha fatto gran senso a tutti,  a italiani e forestieri.I due secondi armati con pistola, ed avevano due spade. Queste non si travavan uguali; e perciò volevasi estrarre a sorte a chi spettasse la  più lunga. Ma il tuo fratello, nel presentargli le sorti, le strappa ambedue dalle mani di  Villemille; chiede la più corta, la prende e si mette in guardia. Dopo secondi di dibattimento, l’avversario aveva stoccata al braccio destro. Chiestogli se fosse pago e risposto che lo era, buttai la spada e gli fasciai la ferita col mio fazzoletto. Ciò fatto rientrammo in città […].  Ma già la Polizia sapeva tutto: […] mi intimò gli arresti nella mia stessa abitazione […]. In un momento si sparse la nuova per Firenze con tutti i particolari; e tutta Firenze  prese caldissima parte per me. Molti signori toscani, quasi tutti i Ministri Esteri, tutta la Legazione francese, e molti forestieri di distinzione s’impegnarono in mio favore pregando il Governo onde non mi facesse la menoma molestia. Le circostanze del non aver voluto compromettere alcuno dei miei compatriotti, dell’essermi affidato solo fra tre incogniti e della scelta della spada più corta, stordivano tutti. Lo stesso ambasciatore di Francia, il Marchese La Maisonfort, mi mandò la sua carrozza facendomi sapere che era essa a mia disposizione per condurmi in casa sua come luogo di sicurezza, qualora mi si volesse imprigionare o cacciare […]. Siamo risultati amici con Lamartine. […] che egli in seguito dell’affare ha pubblicato un foglietto di nobilissimo disinganno sul conto dell’Italia.
L’aver difeso con tanta fierezza l’onore dell’Italia e l’aver dibattuto in duello fulgida lealtà cavalleresca sarà considerato tra i primi bagliori di quella nuova aurora risorgimentale che si staglierà scintillante nei cieli d’Italia. Nel 1836 rientrò a Napoli, in seguito gli fu conferito il grado di Generale con l’incarico di Comandante della Guardia Nazionale. Il soldato, scrittore, politico e soprattutto patriota Gabriele Pepe morì nella sua Civitacampomarano il 26 Luglio 1849.
 
di Antonio Salvatore
 

Storia del Distretto Militare di Campobasso (nona parte)

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Con l’invasione della Polonia da parte delle armate tedesche, il 1 Settembre 1939, ebbe inizio una delle pagine più cruente e dolorose della storia dell’umanità: Seconda Guerra Mondiale. Sei lunghi anni di barbarie, dove eserciti e popolazione civile conobbero orrori e barbarie. L’Italia, dopo il primo anno di neutralità, con la consegna della dichiarazione di guerra agli Ambasciatori di Francia e Inghilterra, entrerà in guerra a fianco delle truppe germaniche il 10 Giugno 1940, era giunta “l’ora delle decisioni irrevocabili”. La Seconda Guerra Mondiale, dopo sei anni di indicibili sofferenze e perdite umane, terminerà con la resa del Giappone il 2 Settembre 1945. In questi anni (fino al Settembre del 1943), l’attività operativa della Caserma “G. Pepe” fu molto laboriosa, da un  lato,  il  XII  Battaglione d’Istruzione con i  corsi di Formazione per Allievi Ufficiali di Complemento, dall’altro, il Distretto Militare di Campobasso (46°) per il reclutamento e la chiamata alle armi delle classi di leva, da smistare ai vari reparti impegnati nei diversi fronti di guerra. Nel 1940 venne realizzata anche una cartolina da offrire a tutti i volontari e i richiamati in partenza per il fronte. In essa erano rappresentati: “la simbolica trilogia espressa dalla maschia figura del gen.le Pepe, dal turrito Castello Monforte e dalla massa di volontari…la bellezza ideale della nostra terra madre, patrimonio di virtù eroiche”. Il 10 Luglio 1943 il conflitto, che fino ad allora si era combattuto in terre straniere, con lo sbarco in Sicilia delle Truppe Alleate, una delle più grandi operazioni anfibie della Seconda Guerra Mondiale, nome in codice “Operazione Husky”, si spostò anche sul suolo italiano. Gli avvenimenti che seguirono, dalla caduta del Fascismo il 25 Luglio e la firma dell’Armistizio dell’8 Settembre, segnarono per sempre la recente storia d’Italia.

di Antonio Salvatore

 

Il Gen. Gabriele Pepe (prima parte)

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Soldato, scrittore, politico, Gabriele Pepe è sicuramente tra i personaggi più illustri della storia del Molise e non solo. Nato a Civitacampomarano in provincia di Campobasso il 7 Dicembre 1779, Gabriele Pepe rappresenta ancora oggi un luminoso esempio della grandezza e del coraggio di un molisano che già si sentiva italiano. La sua vita avventurosa, costellata da numerosi fatti d’arme, ha inizio allorquando, abbracciata la causa repubblicana tra le fila della Legione Sannita fu condannato a morte, (pena commutata per la sua giovane età nell’esilio perpetuo) all’indomani della restaurazione della monarchia borbonica. Con l’arrivo dell’Esercito Napoleonico si arruolò nella Legione Italiana, ma anche questa volta la sua fiamma repubblicana fu spenta nel 1801 con l’ennesima restaurazione dei Borbone. Lasciato il servizio militare nel 1802, fu richiamato da Giuseppe Napoleone nei quadri del 1° Reggimento con il grado di Primo Tenente nel 1806 ed impiegato nella repressione del primo brigantaggio. Nel 1808, con i gradi di Capitano, farà parte del Corpo dell’Esercito nella spedizione di Spagna, dove verrà insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine delle Due Sicilie. Negli anni successivi, con i gradi di capo Battaglione partecipò, nel 1815, alla campagna delle Marche e Romagna e con quelli di Colonnello, in seguito al richiamo di Ferdinando I,  gli vennero affidati i seguenti incarichi: nel 1818 il comando della provincia di Capitanata, nel 1819 in Calabria e nel 1920 il 6° Reggimento Cavalleggeri con sede a Siracusa. Nel 1820 la vita di Gabriele Pepe prende una svolta decisiva, infatti, a seguito della promulgazione della Costituzione del 7 Luglio, il Col. Pepe verrà eletto, per la sua Regione, come Deputato al Parlamento del regno di Napoli. Purtroppo, il suo mandato elettorale durò meno di un anno,  infatti, il 23 Marzo 1821, con l’ingresso a Napoli delle truppe austriache, la Costituzione venne abolita e il Pepe condannato all’esilio perpetuo, prima a Brunn, in Moravia, poi a Firenze dove, come vedremo, il patriota molisano scriverà una tra le pagine  più belle di orgoglio patrio.
Dunque, esiliato nella città toscana, dove viveva in totale ristrettezza economica, riuscì comunque frequentare gli ambienti culturali fiorentini, all’interno dei quali la sua fama divenne immortale anche per il duello ingaggiato, prima sul filo di un pennino, poi su quello della spada, con il segretario della delegazione francese in Toscana, il poeta Alphonse De Lamartine.
L’oggetto del contendere fu una rima scritta nell’”Ultimo canto del pellegrinaggio di Aroldo”, dove il francese definì gli italiani «de la poussière humaine», indicando l’Italia come «la terra dei morti».
All’offesa del francese, il Pepe rispose con un articolo pubblicato nelle colonne del “Cenno”, opuscolo divulgato nel Granducato di Toscana: […] di tale goffaggine sarebbe stato capace solo un poetastro come quel rimatore dell’Ultimo Canto di Childe Harold, il quale si sforza […] di supplire all’estro ond’è vacuo ed ai concetti degni dell’estro, con baie contro l’Italia, che chiameremmo ingiurie, ove, come diceva Diomede, i colpi dei  fiacchi e degli imbelli potessero mai ferire […].
 
di Antonio Salvatore