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Kosovo

Cimic in Kosovo

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Che l’acqua sia vita è ben noto. Che invece possa essere indispensabile per ritrovare il dialogo, lo è solo nel villaggio kosovaro di Berkovo, municipalità di Kline. E’ attorno ad una pompa idrica, infatti, che le due componenti di una comunità multietnica hanno potuto cominciare a parlarsi e a parlare di nuovi progetti comuni. Fino ad un anno fa gli abitanti del villaggio dovevano andare a piedi al fiume ad attingere acqua. I due capivillaggio, uno serbo e l’altro albanese, non avevano mai dialogato particolarmente, anche per problemi linguistici e, forse, per quella scarsa conoscenza che porta sicuramente a diffidare l’uno dell’altro. Poi, la pompa che serviva il villaggio, a causa della scarsa manutenzione, si è bruciata. A quel punto, ognuno dei due ha manifestato il problema ai componenti del team LMT, Liason Monitoring Team della Kfor e, di lì, sono partite le istanze al Cimic, gruppo di cooperazione civile militare, affinché si attivasse per dare un aiuto a Berkovo. Proprio in questi giorni la nuova pompa idrica è stata inaugurata. E’ stata la terza donazione, nel giro di pochi giorni, quella fatta dal Cimic in Kosovo. Una donazione particolare, proprio perché ha messo intorno ad un tavolo due comunità che fino ad oggi sembravano distanti e che invece ora pensano di potersi unire in un nuovo progetto, quello di un ponte sul fiume che hanno chiesto confidando sempre nella missione Kfor. Un’occasione, per entrambi i “leader”, per ringraziare il comandante del gruppo Cimic, Giampaolo Sioni, che solo qualche giorno prima aveva già avuto modo di tagliare il nastro per l’inaugurazione dell’aula informatica didattica nella scuola di Irznic, assieme al sindaco di Decani Rasim Selmana. Un “miracolo” reso possibile - in un istituto dove la corrente elettrica, come in tutto il Kosovo, va e viene - grazie all’unità di cooperazione civile-militare, come si diceva. Questa infatti interviene ogni volta che la popolazione chieda un intervento per un progetto per il quale l’assessorato competente (formazione, sanità) non abbia i fondi sufficienti, purché questo sia riconosciuto di interesse pubblico. E’ appunto il caso della scuola secondaria di Irznic, che ha ora a disposizione dei computer moderni, da utilizzare per lo studio dell’informatica, ma anche dell’inglese. Le altre aule della scuola, quelle in cui il Cimic non è passato, sono ancora un po’ fatiscenti e, dunque, l’aula informatica spicca tra tutte come fiore all’occhiello dell’istituto e come simbolo dei rapporti che i militari italiani riescono a mantenere anche con la popolazione albanese. “I rapporti con Kfor sono ormai una bella tradizione – ha spiegato infatti il sindaco di Decani – che ci consente oggi di avere mezzi moderni per un settore importante come quello della formazione. Ciò rientra perfettamente nella nostra politica che è quella di far crescere culturalmente i nostri giovani ma anche di creare le condizioni per farli rimanere a spendere nel proprio Paese le conoscenze e le capacità acquisite nella loro scuola”. Stessa filosofia condivisa dalla preside della scuola ubicata nel villaggio di Kryshec, municipalità di Pec, alla quale è stata donata un’aula informatica, come già in precedenza era stato fatto con banchi, sedie e stufe. “Mir, italiani mir”, gridavano i bimbi albanesi sventolando bandiere italiane all’arrivo dei militari. Tradotto, vuol dire: “Bravi, gli italiani sono bravi”.

 

di Daniela Lombardi

 

 

Cambio al vertice del contingente militare in Kosovo

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Lunedì 8 novembre, presso la base militare italiana “Villaggio Italia” di Pec/Peja, si è svolta la cerimonia di passaggio di responsabilità al vertice del Contingente Militare Italiano in Kosovo tra il Colonnello Davide Di Bartolo, comandante uscente, ed il Colonnello Carlo Emiliani, comandante subentrante.

Alla cerimonia, che si è svolta alla presenza del comandante di KFOR (Kosovo Force) Major General Erhard Bϋhler e del comandante del COI (Comando Operativo di vertice interforze) Generale di Corpo d’Armata Giorgio Cornacchione, hanno partecipato le più alte cariche civili e religiose dell’area di responsabilità del MNBG-W (Multinational Battle Group West).

Il Contingente Militare Italiano, costituito su base 24° Reggimento artiglieria “Peloritani”, nel corso dei 185 giorni trascorsi in Kosovo ha fronteggiato numerose emergenze. In particolare, ha fornito sostegno ed all’occorrenza protezione alle famiglie in rientro in Kosovo ed ha gestito eventi particolari quale è stata, ad esempio, l’intronizzazione del Patriarca Irenej in Pec/Peja.

Il Colonnello Di Bartolo, nel suo discorso di commiato, ha sottolineato l’operato del Contingente Italiano evidenziando le numerose attività CIMIC (Civil Military Cooperation), a favore dei comparti scuola, sanità ed agricoltura, ed il silenzioso ma assiduo e proficuo lavoro di sminamento che prosegue senza sosta al fine di garantire un ambiente sempre più sicuro. Il Colonnello Carlo Emiliani, comandante subentrante del MNBG – W, avrà la missione di guidare il Contingente su base 1° Reggimento “Granatieri di Sardegna”, già peraltro impiegato in teatro kosovaro dal luglio 2006 al febbraio 2007.

 

 

fonte: Stato Maggiore della Difesa

 

 

Il Kosovo in allerta per l’insediamento del patriarca serbo Irenej

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L’incognita legata a delle possibili nuove tensioni tra serbi e albanesi è stata sciolta. La minaccia paventata prima dell’evento è rientrata immediatamente. La sicurezza e la pace duratura in Kosovo sono state ribadite. Tutto ciò grazie all’intronizzazione, nel patriarcato di Pec, del 45° patriarca serbo Irenej, avvenuta per la prima volta in Kosovo, dopo la dichiarazione unilaterale d’indipendenza.

Alla cerimonia erano presenti circa 5000 persone sotto l’occhio vigile dei militari di KFOR, KP, EULEX e soprattutto delle organizzazioni  internazionali come l’OSCE.

Si temeva il peggio vista la presenza delle massime autorità serbe a cominciare dal presidente Tadic e la decisione da parte della chiesa ortodossa serba che ha invitato soltanto i rappresentanti musulmani e cattolici della chiesa in Kosovo, ma non i rappresentati politici, o meglio le massime autorità del governo kosovaro che la chiesa ortodossa come del resto l’intera Serbia non riconosce.

Eppure qualche autorità politica kosovara è riuscita comunque ad infilarsi tra i presenti senza però causare alcun danno. Non dimentichiamoci che lo stesso Kosovo vive momenti difficili legati alla politica interna dopo le recenti dimissioni del presidente Fatmir Sejdiu.

La cerimonia si è svolta pacificamente e l’ottuagenario Irenej ha potuto dare il suo messaggio al termine senza particolari ansie: “Auguri a tutti i serbi che sono presenti qui e in ogni altro luogo del mondo. Speriamo di avere giorni migliori per il nostro futuro”.

Il messaggio distensivo del nuovo patriarca che succede al deceduto Plave, sembra dare speranza ad una politica di dialogo tra il Kosovo e la Serbia affinché entrambe le parti possano convivere.

Per fare ciò c’è bisogno che diversi ostacoli vadano superati. Certamente l’asse Belgrado-Pristina deve funzionare al meglio. Purtroppo a livello sociale nonostante molti serbi siano rientrati in Kosovo e alcuni di questi entrati a far parte di amministrazioni locali, tra la gente albanese cova ancora la rabbia o meglio l’indignazione per alcune questioni ancora irrisolte. E’ il caso del massacro di Meje, vicino Gjakova avvenuto nel lontano 27 aprile 1999.

In quell’occasione vennero uccisi e dispersi 376 albanesi, 101 cattolici e 275 musulmani. All’appello mancano ancora 21 corpi.

La riuscita di un evento così importante come la cerimonia di inaugurazione del patriarca Irenej può solo far bene alla popolazione serba e kosovara ormai stanca della guerra

Le diversità religiose ed etniche esistono ed esisteranno sempre ma la capacità di dialogare resta un punto incontrovertibile da cui partire.

 

 

 

 

Dal nostro inviato a Pec/Peja

Roberto Colella

 

 

Viaggio tra i campi Rom e i villaggi di rifugiati in Kosovo

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Pec/Peja per usare la doppia lingua, è una cittadina ospitale, a tratti moderna anche se nasconde nelle periferie scenari davvero inquietanti dove si annidano i campi Rom.

Entrare in un campo Rom è qualcosa di davvero unico. I liquami sono sparsi ovunque, il terreno lutulento è pieno di immondizia e gli scheletri di animali morti fanno da cornice alle abitazioni presenti. I bambini sono riversati tutti per strada. Nel villaggio "7 settembre" di Pec ne vivono 280. Vogliono essere fotografati e qualcuno cerca di attirare la mia attenzione in tutti i modi. Un bambino sta giocando con dei topi morti, è quello il suo giocattolo! Il capo villaggio mi trascina in un’abitazione dove l’odore di pollina è fortissimo e dove a fatica si riesce a respirare. Mi fa vedere l’immagine di una donna morta non ancora quarantenne durante il parto del tredicesimo figlio.

Il suo ritratto è conservato in una stanza con la soffittatura cadente, ricca di crepe poco rassicuranti. Spesso infatti le ragazze vengono date in sposa alla tenera età a uomini adulti. L’interprete mi racconta di un uomo di 70 anni sposato con una ragazza di 16.

Il campo Rom di Pec è sormontato da una discarica abusiva dove bruciano continuamente copertoni e dove gli animali tranquillamente mangiano. Il problema è che quegli stessi animali finiranno sulla tavola della popolazione del villaggio che vive di elemosina. Infatti nessuno di loro lavora ma vivono di aiuti umanitari. Eppure il capo villaggio è proprietario di tre auto e circola con un anello d’oro alla mano nonostante la popolazione soffre di carenza di cibo e acqua.

L’acqua e la corrente elettrica sono le esigenze primarie in tutto il Kosovo. Lo stipendio mensile si aggira intorno ai 300-400 euro con un tasso di disoccupazione del 59%.

Molti bambini kosovari sono vittime di guerra, colpiti dalle mine oppure orfani dei genitori. Poi ci sono anche quelli abbandonati spesso da coppie di ragazzini che non possono permettersi di tenere un figlio. Sono bambini che hanno subito diverse violenze e che spesso continuano a subire maltrattamenti. Mi basta entrare in una abitazione di un villaggio Rom per vedere un bambino cieco legato mani e piedi ad un letto. E’ un immagine agghiacciante ma per i suoi genitori fa parte della routine quotidiana. Loro sono in giro a chiedere l’elemosina e il figlio avendo il problema della cecità non può essere lasciato solo.

Spesso per visitare questi campi e per stare a contatto con la gente e le varie etnie presenti (Ashkali, Rom, Gorani, Egyptians) mi avvalgo dell’appoggio dell’ LMT (Liaison Monitoring Team).

Gli uomini dell’LMT hanno la funzione di percepire sensazioni tramite il contatto con la popolazione e fornire opinioni al Comandante della missione. Ogni team è composto da 7 uomini che svolgono attività di pulse control.

Durante gli spostamenti in territorio kosovaro raggiungo prima l’enclave serba di Goradzevac abitata da 700-900 persone e poi il villaggio di ritornati serbi di Zallq. Questi ultimi vivono in tre tende messe a disposizione dall’UNHCR nell’attesa che loro abitazioni distrutte dalla guerra vengano ricostruite. Nonostante il freddo pungente si vive nelle tende dove c’è di tutto dai letti alla cucina e dove si svolge gran parte delle loro attività. Nessuno di loro lavora. Hanno conservato soltanto quel pezzo di terra e sperano che gli organismi internazionali possano ricostruire le loro case con l’appoggio del governo kosovaro. Ancora una volta la maggior parte sono giovani negli occhi dei quali vedo il futuro del Kosovo e la voglia di invertire l’andamento del paese.

La voglia di ritornare nel loro villaggio li rende tenaci e pronti a scommettere ancora. L’instabilità territoriale resta comunque un’aggravante davvero minacciosa visti anche i recentissimi scontri a Mitrovica.

Il Kosovo sembra avviarsi come tutti gli altri paesi fuoriusciti dal’orbita della Repubblica di Jugoslavia verso una fase di Balcanizzazione. Soltanto quando tutti avranno il proprio capo di stato, il proprio inno e la propria bandiera potranno ritenersi soddisfatti. Soltanto dopo però capiranno che l’economia di una nazione si regge e dipende da tutt’altro.

 

di Roberto Colella

 

tratto da "Quotidiano.net"

Un calcio alla intolleranza

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Quando lo sport può ricucire dei conflitti inter-etnici. Tutto questo è successo a Pec/Peja in Kosovo il 17 aprile presso lo stadio comunale della città sede del Villaggio Italia denominato Hollywood dalla popolazione locale per via dell’illuminazione notturna.

Grazie al patrocino ed alla collaborazione dei comuni di Trani e Carsoli che hanno donato i completi sportivi, si è tenuto un triangolare calcistico tra una squadra di Gorazdevac di etnia serba, una di Decane/Decani di etnia albanese, ed una rappresentativa multinazionale della KFOR.

Il triangolare è stato vinto dalla squadra di Decane anche se il momento indimenticabile è stata la stretta di mano tra le squadre di Gorazdevac e Decane come già sottolineato in precedenza, di etnia differente.

La squadra del Gorazdevac, di etnia serba, ha rappresentato la municipalità di Pec/Peja a maggioranza albanese. In una atmosfera gioviale e colorita, si è assistito, quindi ad un superamento delle rivalità storiche in nome di quella armonia collettiva che spesso è mancata in territorio kosovaro.

Al torneo hanno assistito con viva partecipazione tutti gli alunni delle scuole di Pec/Peja e dintorni, la seconda città per numero di abitanti in Kosovo.

Il momento di sport ed amicizia, voluto dal contingente Italiano, a capo del Multinational Battle Group West, su base 9° Reggimento Fanteria "Bari", sottolinea l'intesa che le due componenti della popolazione kosovara possono trovare per il superamento delle recenti divisioni.

Nella stessa giornata il comandante del Multinational Battle Group West, colonnello Vincenzo Grasso insieme ad una delegazione del comune di Carsoli ha incontrato a Decane/Decani il sindaco di etnia albanese Rasim Selmanaj, per poi far visita al monastero ortodosso di Visoki, vigilato dal 1999 dai soldati italiani.

L’impegno italiano in Kosovo resta forte soprattutto legato alle attività di sicurezza e CIMIC, Cooperazione civile militare. Lo stesso triangolare di calcio è un’iniziativa CIMIC. Soltanto nel 2009 sono stati realizzati diversi progetti che hanno riguardato vari settori: il 61,8 % in agricoltura, il 33% nel sociale, il 3,8% nell’istruzione e una piccola percentuale nella sanità. Grande merito anche all’Health Team, ovvero il supporto medico soprattutto per i bambini malati. Soltanto nel 2004 sono stati trattati 739 casi, 410 sono stati i casi portati a termine. Attualmente in Italia si stanno trattando 40 casi mentre 17 sono in attesa di primo trattamento.

Per il 2010 CIMIC prevede la realizzazione di 11 progetti infrastrutturali per un bugdet annuale di 543.500,00 euro.

Le carenze più gravi riguardano l’energia elettrica e l’acqua. Le fasce più povere della popolazione continuano a vivere di agricoltura o di rimesse dall’estero. Lo stipendio medio mensile si aggira intorno ai 300/400 euro per un paese considerato il più giovane d’Europa, visto che il 70% della popolazione è inferiore ai 30 anni! Gli anni di guerra hanno causato molte vittime anche se ora qualcosa si sta muovendo. Pare infatti che la Serbia sta facendo qualcosa per riconoscere lo status del Kosovo che di sicuro non sarà quello di un Kosovo indipendente. I prossimi appuntamenti internazionali saranno decisivi. Per ora sono 66 i paesi che hanno riconosciuto l’indipendenza kosovara.

 

di Roberto Colella

 

tratto da "Quotidiano.net"

Il Tricolore in Kosovo

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Era il 17 febbraio 2008 e il Kosovo si proclamava indipendente. Un nugolo di soldati europei che operavano nel territorio balcanico dal 1999 furono colti alla sprovvista scongiurando lo scoppio di un conflitto dalle proporzioni ben più larghe. Oggigiorno l’impegno italiano in Kosovo sta per ridursi in merito alla riconfigurazione del nostro contingente.

Attualmente in Kosovo vi è una situazione di apparente tranquillità. Nonostante ciò esistono diverse minacce alla sicurezza. Innanzitutto il rischio di violenze interetniche, tra la comunità albanese e quella serba. Il problema che la maggioranza dei serbi vive in enclavi non vicine ai territori della Serbia, non comunicanti ed in condizioni economiche precarie.

L’altra minaccia è costituita dal rischio di atti ostili contro il personale delle Nazioni Unite e infine il rischio di una implosione e quindi di una divisione violenta del Kosovo.

A seguito dell’approvazione dell’Alleanza Atlantica di ridurre la forza KFOR da 15.000 a 10.000 unità, l’Italia, alla pari delle altre Nazioni che partecipano all’operazione, rimodulerà gradualmente il proprio contingente con una riduzione di circa 500 unità. La riduzione del contingente avverrà in modo graduale e coordinato

Si tratta di un adeguamento dello strumento militare all’attuale situazione in Kosovo che, considerati i notevoli progressi conseguiti, rende ora possibile ridurre dal punto di vista quantitativo il livello delle forze impegnate, senza compromettere le capacità di risposta ad eventuali minacce.

Nel mese di gennaio si è assistito al passaggio di responsabilità dalla Multinational Task Force West (MNTF-W), Brigata Multinazionale inserita nella Kosovo Force e comandata dal generale di Brigata Roberto D’Alessandro, alla Multinational Battle Groupe West su base del 9° Reggimento Fanteria Bari al comando del colonnello Vincenzo Grasso.

La protezione dei luoghi che identificano la cultura e le tradizioni locali (cosiddetti PrDSS – Property Designated with Special Status) costituisce uno dei principali compiti di KFOR. In tale contesto, il contingente italiano continuerà ad assicurare, senza riduzione degli assetti dedicati, la salvaguardia di quattro luoghi di culto della Chiesa serbo-ortodossa: il monastero di Visoky in Decane, il monastero di Goriok, il monastero di Budisavic ed il Patriarcato di Pec.

L’Italia continuerà a mantenere il ruolo di nazione leader nel settore occidentale dell’Area di Responsabilità di KFOR.

Da sempre i kosovari nutrono una certa simpatia verso il nostro tricolore. Durante i diversi anni della missione è stato più volte apprezzato l’impegno dei nostri soldati, carabinieri, polizia di stato e carceraria e guardia di finanza. Due episodi su tutti si possono raccontare. Il primo quando, Bayram Rexhepi politico illustre nato a Mitrovica, era primo ministro e chiedeva insistentemente una scorta di carabinieri italiani e non di poliziotti kosovari. Inoltre nel suo primo viaggio in Italia, nel febbraio del 2004 fece tappa dapprima a Roma al Comando Generale dell’Arma. La Guardia di Finanza ha poi contribuito ad indagare sulla corruzione tanto che tutti i media del Kosovo erano apertamente schierati verso la nostra arma, cosìcchè UNMIK fece di tutto per fermare le indagini perché rischiavano di aprire il Vaso di Pandora della spirale di corruzione tra internazionali e locali.

Fino ad oggi soltanto 46 paesi hanno riconosciuto il Kosovo anche se mancano alcuni stati membri dell’Unione Europea come la Spagna.

Nel Consiglio di Sicurezza il diritto di veto da parte della Russia impedisce di arrivare ad una soluzione immediata della questione tanto che sia la Nato che l’UE dovranno continuare a legittimare la propria presenza sulla base della 1244.

E’ pur vero che in Europa non c’è mai stata una politica unitaria verso la questione kosovara. Tutto ciò ci fa riflettere anche sul ruolo dell’Unione Europea in merito alle grandi questioni. Forse davvero l’Europa non esiste ma è soltanto una pantomima di quel vecchio nucleo carolingio?

 

di Roberto Colella

 

tratto da "Quotidiano.net"