Gaza: l’accordo che controlla la narrazione

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Creato Mercoledì, 13 Dicembre 2023 09:23
Ultima modifica il Martedì, 02 Aprile 2024 07:24
Pubblicato Mercoledì, 13 Dicembre 2023 09:23
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L’informazione che circola a Gaza è un problema: da un lato si tende a non fidarsi ciecamente dal numero delle persone uccise fornito dal Ministero della Salute di Gaza, cioè Hamas, dall’altro le autorità israeliane hanno imposto un rigido controllo sui giornalisti internazionali che entrano a Gaza, peggiorando la credibilità di Israele agli occhi dell'opinione pubblica. Un accordo di 12 pagine stabilito tra le autorità israeliane e alcune testate internazionali con cui Israele impedisce alla stampa indipendente di accedere alla Striscia di Gaza, sostenendo di non poterne garantire la sicurezza. Secondo TPI, tra i media firmatari ci sarebbero: Cnn, Abc, Nbc, Channel 4, New York Times e Fox News. L’unica testata italiana sarebbe Repubblica. A confermarlo è stata Francesca Mannocchi in un’intervista rilasciata a Rai Tre, in cui la la reporter freelance ha denunciato le condizioni in cui i giornalisti di tutto il mondo sono costretti a lavorare: “Gli accessi sono stati limitati a due/tre giorni in cui alcune testate internazionali tra cui una italiana hanno potuto avere accesso per pochissime ore alla Striscia di Gaza, firmando un accordo con le forze israeliane lungo 12 pagine in cui sostanzialmente noi giornalisti siamo chiamati a far vedere e revisionare sia i nostri articoli scritti sia le immagini filmate all’interno della Striscia. E non è stato naturalmente possibile per nessuna troupe internazionale poter parlare con civili palestinesi”. Questo accordo, quindi, prevede che i giornalisti e i loro operatori possano entrare a Gaza ma senza circolari liberi per questioni di sicurezza, e con l’obbligo di sottoporre tutto il materiale del girato alla visione dell'esercito, il quale avrebbe poi la facoltà di decidere o meno la pubblicazione dello stesso. Le testate hanno tutto l'interesse a documentare anche se parziali ma è giusto chiedersi la validità di questi reportage dopo aver firmato un accordo così vincolante, in cui una delle parti in causa controlla la narrazione. Il rischio è che i reporter diventino semplici portavoce dell’esercito israeliano, trasformando l’informazione in propaganda. Sul fronte però ci sono anche reporter palestinesi che riescono a documentare in maniera egregia e coraggiosa il conflitto: è il caso, ad esempio, di Matoz Azaiza, il reporter che racconta su Instagram i bombardamenti e il massacro nella Striscia di Gaza. Il suo profilo ha superato i 7 milioni di follower, i suoi contenuti sono ripresi dai media di tutto il mondo. SI tratta di un fotografo freelance che lavora per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA, The United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East). Matoz Azaiza è uno dei reporter più seguiti perché è sul campo, ma non è l’unico a raccontare da dentro la guerra, ci sono tanti altri giornalisti, reporter e creator digitali: Ahmed Hijazi, Mahmoud Zuaiter, Anadolu Ali Jadallah e Ali Nisman, morto in un bombardamento il 13 ottobre. Secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ),Comitato per la Protezione dei Giornalisti, in due mesi di guerra, cioè dall'inizio del conflitto, almeno 63 tra giornalisti e operatori hanno perso la vita; secondo i dati forniti da Freedom Forum, si tratta della stessa cifra dei giornalisti deceduti nei 10 anni di guerra in Vietnam e molto vicina al numero di quelli uccisi nella Seconda guerra mondiale (69).

di Daniele Leonardi