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Ruanda: il genocidio non smette di uccidere.

Creato Sabato, 04 Settembre 2010 13:52
Ultima modifica il Venerdì, 27 Maggio 2016 08:46
Pubblicato Sabato, 04 Settembre 2010 13:52
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Ad agosto le seconde elezioni dal 1994, annus horribilis del paese africano. Arresti, conflitti sociali ed ex attivisti militari che diventano eroi di pace. Il paese si sta rialzando, ma le ombre del passato incombono ancora. Lo sa bene Peter Erlinder, il professore del Minnesota arrestato il 28 maggio in Ruanda e rilasciato neanche un mese dopo per motivi di salute, che sul genocidio tra Hutu e Tutsi è meglio tacere. Dopo 16 anni, rimangono un mistero i moventi e le cause della guerra civile ruandese, mentre l'attuale presidente Kagame è ormai accreditato come “uomo di pace” e, come tale, presiede la Commissione anti-povertà dell'Onu, insieme al presidente di turno dell'Ue, il premier spagnolo Zapatero. La copresidenza è stata accettata da Kagame il 25 giugno, poche ore dopo l'uccisione di Jean Leonard Rugambage, colpevole, secondo l'establishment presidenziale, di aver diffuso notizie false sul tentato omicidio in Sudafrica di Faustin Nyamwasa, alleato militare di Kagame dai tempi del genocidio. Da tempo il Ruanda ne chiede l'estradizione, poiché considerato terrorista e possibile rivale di Kagame il quale, al riguardo, ha anche pubblicamente affermato che “non c'è solo l'estradizione come metodo per risolvere questo problema.” Era solo il 2006 quando un giudice di Parigi indicò proprio in Kagame uno dei principali autori dell'omicidio dell'ex presidente Habyarimana, che scatenò il genocidio. Ora, alcuni lo chiamano l'Obama dell'Africa, altri lo paragonano a Saddam Hussein. Paul Kagame, presidente del Ruanda dal 2003, eletto con il 94% dei voti, è salito la ribalta anche grazie alla sua partecipazione a eventi come il Tribeca Film Festival (lo scorso 26 aprile), in virtù della sua comparsa nel documentario “Earth Made of Glass”, che indica la Francia come corresponsabile della crisi istituzionale e umanitaria del 1994. “Un esempio da seguire nel gestire il post genocidio”, afferma l'Onu relativamente al Ruanda odierno. Sarà per questo che Nyamwasa rimane uno scomodo testimone in vista delle elezioni di agosto, essendo egli stato il generale in carica sotto Kagame all'epoca del genocidio. Una delle ex colonie più turbolente dell'Africa, il Ruanda cerca di mettere sotto chiave il passato: a partire da chi, come Kagame, è stato protagonista degli scontri. Molti sono i processi in corso, tra cui anche un Tribunale internazionale (ad Arusha, in Tanzania), creato ad hoc per cercare di dare un nome ai responsabili degli scontri tra Hutu e Tutsi. Kagame, appartenente a quest'ultima etnia, è considerato a livello internazionale come colui che ha pacificato il suo popolo, dopo tre mesi di massacri costati oltre 800 mila vittime. Eppure, nonostante la collaborazione dell'odierno Ruanda, sono state solo 29 le condanne da parte del Tribulane di Arusha, tra cui l'ergastolo per Jean Kambanda, unico caso di ex premier reo confesso di genocidio. Passi in avanti che non sembrano cambiare la sostanza dei metodi utilizzati in Ruanda, dove – secondo il dipartimento investigativo centrale – solo tra il 2007 e il 2009 sono avvenuti oltre 2000 casi di omicidio, torture e intimidazioni nei confronti di sopravvissuti al genocidio. Resta il fatto che, come in molti casi africani, è difficile isolare il marcio in un'amministrazione pubblica intrisa di nepotismo ed etnicismo. La comunità internazionale è però decisa a riabilitare il Ruanda – a partire dalla Francia, dove a marzo di quest'anno i postumi del genocidio si sono rifatti sentire, con l'arresto di Agathe Habyarimana, appartenente alla dinastia Kanziga, nota anche come il Clan di Madame. Esponente dell'Akazu, l'elite Hutu, Madame Agathe è ora in galera in Francia, a due passi dall'ex potenza coloniale che aveva contribuito a creare il Ruanda stesso, il Belgio. Era il 1931 quando Bruxelles imponeva una carta d'identità ai ruandesi, riportante anche l'appartenenza etnica. Gli Hutu e i Tutsi, rispettivamente contadini e allevatori, furono assegnati a due categorie diverse, due classi destinate, prima o poi, a scontrarsi. Madame Agathe deve aver creduto che ne valeva la pena, se ha pensato bene - come indica l'arresto francese - di uccidere suo marito, Juvénal Habyarimana. Presidente del Ruanda dal 1973 al 1994, anno del genocidio, Habyarimana non riuscì a far dimenticare quella divisione in etnie e fu proprio grazie all'identificazione etnica nei documenti (introdotta dal Belgio) che furono possibili i massacri del 1994, all'indomani della morte di Habyarimana. Pronta fu l'evacuazione della moglie, Agathe, a spese del governo francese, che la fece rientrare nel programma di aiuto economico per i rifugiati del Ruanda fino al 2007, anno in cui le fu rifiutato l'asilo politico in Francia. Nel frattempo nessuna indagine ha fatto chiarezza sulla morte di Habyarimana, colpito da un razzo mentre viaggiava in aereo insieme a Cyprien Ntaryamira, settimo presidente della repubblica del Burundi, morto anch'egli nell'attentato. Che, secondo fonti del ministero della Giustizia ruandese, sarebbe stato orchestrato dalla moglie Agathe. Da simbolo dell'Akazu, l'élite Hutu ruandese, ora Madame Agathe, 67 anni, è diventata Lady Genocide, conosciuta in patria e all'estero come la mandante dell'assassinio di suo marito, nonché una delle menti del genocidio. Dopo quasi 20 anni di controversie, la Francia cerca di porre la parola fine al massacro. E lo fa venendo a patti con l'attuale regime di Kagame, di cui si attende un'altra dilagante vittoria nelle prossime elezioni, all'insegna dell'appoggio internazionale. È bastata, infatti, una visita a Kigali da parte di Sarkozy a far scattare le manette ai polsi di Madame Agathe. Ora Kagame farà di tutto per avere Lady Genocide nelle sue mani e far dimenticare le pesanti accuse, mai accertate, nei suoi confronti. Sarkozy ha messo dunque la firma su un arresto eccellente, con la speranza che questo ponga fine a 4 anni di gelo diplomatico con il Ruanda. Intanto, mentre l'Africa si gode lo spettacolo del pallone mondiale, a Johannesburg si consumano gli epiloghi di uno dei massacri più cruenti del XX secolo. Proprio qui, infatti, l'11 giugno è stato arrestato l'ennesimo ufficiale ruandese su ordine del proprio paese. Si tratta di Jean Bosco Kazura, in Sudafrica in veste di capo della Federazione calcistica ruandese. Motivo dell'arresto: “Pur se presidente della Federazione, Kazura è un militare e, in quanto tale, avrebbe dovuto chiedere il permesso prima di recarsi in Sudafrica, dove sono presenti dissidenti dell'esercito che lui ha già avuto modo di conoscere”, ha spiegato il colonnello Rutaremara alla Bbc. A chi gli chiede cosa ne pensi di tali controversi eventi, Kagame risponde che è tempo di rimboccarsi le maniche e lavorare per un Ruanda di tutti, che il genocidio è passato e le accuse di brogli alle elezioni pure, che alle prossime elezioni sarà ancora lui a traghettare il paese fuori dal conflitto sociale indotto dalle grandi potenze coloniali, come la Francia. Non è la prima volta che un ex attivista armato diventa un eroe di pace. Ma questo, forse, non andrà giù a Faustin Nyamwasa. E nemmeno ai parenti di Leonard Rugambage, ucciso davanti la porta di casa sua, a Kigali. In Ruanda il passato non è ancora sconfitto.

Fonte Limes