Discorso del Dott. Renato Pistilli Sipio per l’inaugurazione della Casa del soldato di Badia Polesine (seconda parte)

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Creato Martedì, 24 Maggio 2022 13:05
Ultima modifica il Venerdì, 23 Dicembre 2022 13:06
Pubblicato Martedì, 24 Maggio 2022 13:05
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«… Erano i tempi del rigoglio di fede, erano i giorni in cui si celebrava sulle are di Roma il ricordo del valore italico, i giorni in cui Paolo Bardazzi tornava dall’esilio e s’imponeva alla frontiera gridando: “rientro perché sono italiano e nessuno può esserlo più di me”, erano i giorni in cui si riprendeva la serie interrotta da lunghi anni nell’attesa vana, erano i giorno in ui la primavera ridiveniva sempre più olezzante di fiori e più franca di energie.
E la vampa di eroismo che rendeva meravigliosa l’Italia e la trasfigurava vide i battaglioni passanti nel martirio con la piena coscienza del dovere da compiere, ed i mesi e gli anni trascorsero nell’alterna vicenda, sempre mostrando il valore indomito ed indomabile del nostro soldato. Domani, quando la Patria sarà paga di noi, la storia scriverà molte pagine gloriose e di fortuna, ma la più fulgida sarà quella in cui sarà celebrato il coraggio del nostro piccolo uomo sbucato da le trincee e da le caverne sempre con uguale capacità, e noi che portiamo nel nostro intimo l’empito del Dolore per i fratelli immolati, in nome del segno del sacrificio, con la fede resa più tenace dallo stesso cruccio, ricorderemo con entusiasmo ed ammirazione il tempo in cui l’arma del soldato d’Italia si affilava sulla roccia carsica e si colorava nel riflesso di sangue degli eroi, degli eroi silenziosi, oscuri, degli eroi per cui non basta premio, degli eroi che non ritornano.
Troppo si è detto durante la nostra lotta e troppo avete tutti ascoltato e sentito perché io possa pensare che tra voi non si intende e non si conosca quale sia il motivo della nostra situazione attuale, ma voglio soltanto ricordare che fra gli artefici furon quelli che prima e poi han creduto rilevare attraverso l’affermazione del nostro sacro egoismo le mire imperialistiche, non intendendo e non discernendo che se l’Italia le avesse accarezzate, avrebbe seguita la via del lurco e non avrebbe unito la sua voce ed il suo braccio alla voce ed al braccio dei popoli che arginano la travolgente marea di fango dei nemici della civiltà.
Cosa avrebbe dopo fatto di noi il lurco?
E con sapienza la Patria sentì il pianto dei figli oppressi, di quelli che a l’ombra dei forti di Trento e su la curva linea di Trieste glorificavano i martiri di Belfiore, onoravano le fosse di Lombardia, celebravano gli audaci della Calabria. Non brama d’imperio dunque, ma necessità di unificazione; non volontà di schiacciare, ma di completarsi, non desiderio di conquista, ma bisogno di garentirsi entro i confini assegnati dalla natura e dalla storia, non asservimento, ma fratellanza fra le regioni, fra i popoli, concordia di idealità, unione di forze materiali e morali, libero scambio, vita, vita soprattutto, perché ogni nato deve vivere e non farsi sopraffare supinamente.
E l’Italia ha dimostrato ogni giorno – fin troppo – nella condotta della sua guerra la coerenza delle sue idee e l’ha riaffermato più ampiamente nel patto di Roma, che forse è l’episodio più notevole di tutto lo sconvolgimento europeo.
In Roma, sul colle sacro, l’Italia ha proclamato ancora una volta la sua dignità ed il suo onore ed ha compreso con sincerità il grande principio che la nazione d’oltremare aveva proclamato e che Giuseppe Mazzini vaticinava.
Ed oggi, o compagni di fortuna, oggi, dopo il martirio, attraverso il calvario sanguinoso, con la gola riarsa e con il cuore in tumulto, più che mai bisogna che l’occhio sia fisso al suo sogno, che l’anima si protenda verso lo scopo divino per il quale si compie lo sforzo, oggi più che mai bisogna che si sappia trovare la piena di coraggio che dopo le sofferenze ritempri e prometta il ritorno verso il culmine del nostro cammino: dobbiamo aver sempre la volontà affilata come una lama d’acciaio e mentre il paese deve vivere la sua quaresima, il soldato deve continuare nella sua missione dritto, inflessibile, sempre memore del compito che gli si è affidato, sempre pronto e calmo, sempre violento contro il barbaro e fiducioso nell’avvenire non lontano. A piene mani egli raccolga dal fondo più chiuso del proprio essere le energie più vaste, e ciascuno di noi, nelle forme più varie del proprio dovere, sciolga il voto concorde, con acutezza scruti tutto ciò che forse ancora manca per rendersi più compiuti e dia valore alla capacità individuale, perché tutti dobbiamo essere fermi in un patto, anche se il patto bisogna giurarlo con la morte. Non dimentichiamo le giornate del dolore, non perché esse ci rammentino la vergogna, ma perché ci infondano nuovi elementi di forza, e guardiamo ai nostri fratelli calpestati, schiacciati e scacciati da l’inconscia ciurma barbara, pensiamo che val meglio spegnersi in un’onda di gloria anziché esser premuti dal tallone della ferocia, che val meglio scomparire, anziché vedere il calcio del vile scagliarsi contro i grembi puri di verginità o sacri di maternità delle nostre donne, ricordiamo che sulla soglia delle case di molti fra noi è segnata una croce di sangue e che ad ogni passo, in ogni zolla, in tutti i fiori delle giogaie alpestri c’è una fibra della nostra carne più viva. Le città, le terre, le donne che han sentito frantumarsi dall’ebbrezza di struggitrice o vandalica o erotica di gregari dell’imperatore squarquoio ribenedetto nella sua putrida carogna e transumanato nel piccoletto duce della fallita invasione d’un tempo e dalle letterine ruffiane, attendono con coraggio il giorno in cui sarà sciolto il voto del nostro ritorno tra gli oppressi da redimere. Le città, le terre, le donne che si sono sentite vuotare dalle loro giovinezze più belle aspettano la grandezza della Patria; le Madri, le buone madri ansiose e insonni sono ferme nelle loro case con il viso sollevato verso il sole per cogliere l’attimo in cui il pianto per i figli morti sarà asciugato dalle dita della gloria e vivono nella speranza che il loro sangue non sia stato versato invano, le madri, che sentono già sepolta la loro carne attraverso il loro bene immolato, hanno il diritto di sapere che sventoleranno su tutte le vette ed in ogni valle italiana le bandiere della vittoria. 
L’opera di epurazione dei disfattisti, l’annullamento di coloro che osano ancora con false ideologie guastare od offuscare la luminosità della nostra speranza, la vigilanza contro ogni tentativo di lesa patria devono essere i capisaldi del rinnovamento. E voi che siete lontani dalle linee del fuoco, dove nel vasto quotidiano lutto si prepara il trionfo, rammentate i fratelli che si fermano a segnare le tappe del valore e pensate che fra tutti i vantaggi che questa nostra santa guerra ci avrà dato, è in primo luogo il miglioramento delle coscienze, la convinzione che noi possiamo bastare a noi stessi e che dobbiamo essere liberi, liberi e forti. Sui campi di Francia, fin dai tempi della Marna gloriosa si è rifatta la libertà dei popoli ed ora si compie la resistenza contro le orde dei vandali: l’unione di tutte le classi, che nelle nazioni alleate è più completa, sia monito a noi che combattiamo con esse. Là dove la bandiera di Digione, tolta nel 1870 si tedeschi, fu conquistata da Giuseppe Garibaldi, oggi i nostri reggimenti sono di nuovo, presso gli eredi della rivoluzione meravigliosa, e dopo lo spettacolo miserando della Russia folle, la democrazia d’America difende con l’Inghilterra la civiltà del mondo.
Resistere bisogna oggi per aver domani la possibilità di una pace di trionfo e non bisogna disperdere le energie: come i sette fiumicelli del Clitumno portano dall’unica fonte lo stesso azzurro e lo stesso sussurro così i sette eserciti siano dall’unica origine avviati verso la meta in un ritmo concorde, e quello italiano; con nelle fila gli oppressi dall’Austria che ora sono nostri fratelli, sappia mantenersi quale fu nel tempo del Maggio divino.
Bisogna tornare nelle nostre case non vinti, epperò tutti dobbiamo nella esecrazione per i carnefici di Cesare Battisti, il puro campione della democrazia vera, moltiplicare lo sforzo per riuscire, aiutare con ogni mezzo e con opere oneste i combattenti che su l’onda gonfia del Piave han designato il limitare insanguinato per dove non passa e non deve passare il nemico.
I nostri morti sono all’avanguardia e se il sonno dei purissimi eroi giovinetti è stato scosso dal piede barbaro prima che dallo squillo delle buccine italiche osannanti agli evviva, bisogna ricomporre le loro tompe, ribenedirle con sangue ancora più vivo, ribattezzare con nuova acqua lustrale e rifarle nostre, perché dove sono i fiori della giovinezza erede della magnificenza di Roma, deve pregare la donna italiana.
Pensate a tutto ciò, soldati che vi raccogliete qui nell’ora di riposo, pensate ai morituri, fate che sulla vetta dei vostri pensieri ci sia l’ansia della Patria rinnovata ed incitate l’odio contro i nemici interni e contro lo straniero e ricordate la Francia che fucila i vigliacchi compagni del vile tedesco, ed il grande marinaio d’Abruzzo che beffa la viltà austriaca.
Poi attendete con fermezza: verrà l’ora della esultanza, verrà l’ora del trionfo.
Badia Polesine il 2 Maggio 1918
Tenente  Renato Pistilli Sipio» 
 
di Antonio Salvatore