Discorso del Dott. Renato Pistilli Sipio per l’inaugurazione della Casa del soldato di Badia Polesine (prima parte)

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Creato Martedì, 10 Maggio 2022 14:01
Ultima modifica il Venerdì, 23 Dicembre 2022 13:03
Pubblicato Martedì, 10 Maggio 2022 14:01
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Il 12 maggio 1918 nel pieno dello svolgimento della Prima Guerra Mondiale, nel massimo sforzo delle truppe italiane per resistere alla “spallata definitiva” da parte dell’esercito austro-ungarico, veniva inaugurata a Badia Polesine, in provincia di Rovigo, la Casa del Soldato. Il discorso inaugurale venne tenuto dal campobassano Dott. Renato Pistilli Sipio, che sarà in seguito Podestà del capoluogo molisano dal 1926 al 1927, a dal 1935 al 1938. Di seguito, la trascrizione dell’inedita allocuzione:
 
«Inaugurandosi la casa del soldato
Ringrazio il Sig. Comandante del Presidio che mi procura l’onore di parlare dinanzi alla autorità del Sig. tenente Generale Com. Goria e dei miei superiori ed alla gentilezza delle anime buone che hanno organato il raccoglimento pio nel simbolo della Casa del Soldato, e sono lieto di porgere il mio saluto augurale alla istituzione e ai militari per i quali essa ha la sua vita.
Credo che non sia invero ormai difficile l’intendere lo scopo che la Casa si propone e per quali necessità la si sia creata: c’è troppa nozione, vasta e compiuta, perché io debba a lungo intrattenermi sulle qualità materiali e m,orali del beneficio che ne deriva: il dare al soldato la possibilità di una comunanza, la ragione di un affratellamento, la capacità della comprensione e della manifestazione delle proprie idee, offrire il posto dove possa esservi convegno fra gli individui ed i mori (?), suggerire al piccolo essere che oggi compie la grande missione tutti quei mezzi che posson rendergli più agevole il sapere e il dare notizie, fornirlo di un asilo in cui si ritempri dopo la rude fatica, dirgli una parola d’amore, lenirgli la tristezza di un’ora grigia, rendergli meno melanconica e più soave la nostalgia della mamma lontana, della sposa, dei f8igli, del vecchio padre curvo sull’aratro santo, infondergli il coraggio per l’attesa, suggerirgli il modo con cui deve anche esprimersi scrivendo a chi prega il destino per lui, fargli respirare una atmosfera di purezza e cui egli ed i suoi compagni, di ogni regione, di lontane montagne o di mari a toni diversi, si sentano fratelli nella più profonda radice e nel rombo più chiuso del sangue, fratelli di moderazione e di fortuna, di lotta e di speranza, di ansie e di vigilie, di forza e di fede, ecco appunto le qualità del beneficio.
E da esse scaturisce l’educazione dello spirito verso il dovere inteso nel senso più vero. Disciplinare infatti le sentimentalità, le anime, dare alle idee e alle emozioni un ordinamento ed una coesione, fondere in una unica armonia ogni piccolo desiderio e tutte le grandi necessità, intendere il limite e la misura di ogni manifestazione, sono tutti elementi che danno la capacità di apprendere la misura dell’ideale e dei postulati etici che sono la base granitica dello sviluppo vitale. E se alle piccole menti si fornisce la possibilità di comprendere, anche esse possono far fronte con energia a tutto quel che ad esse si chiede: lo stesso fenomeno psico – sociale che si verifica nel popolo a cui si appronta il mezzo di una sana istituzione può osservarsi in qualunque aggregato di individui e di pensieri, ed è così che il soldato d’Italia, lo stesso soldato che ha battuto in undici battaglie sul suolo sforzo, la ferocia nemica, può ancora e saprà oggi aver forte il pugno e fermo il petto per vietare il barbaro passo.
La unione, la coesione e l’istruzione adeguata, il dire al soldato che in uno sforzo concorde tutti devono ribellarsi contro il barbaro, ingentilire l’animo del contadino che ha lasciato i solchi pieni di semi della sua terra per scavare solchi pieni dei semi del suo sangue sotto le raffiche di ferro, e rendere accessibili le coscienze alle sfumature dello spirito, porre di fronte alla individualità l’imagine della sua energia, costituisce l’opera di edificazione che si ottiene con il dare a chi difende la patria un angolo dove si riacquisti il concetto della esistenza. E nessun asilo, nessun angolo può essere più adatto, se non quello dove i compagni si radunano sia pure soltanto nell’ora del vespro, quando la tranquillità della sera chiude il cuore in una morsa di melanconia, nell’ora in cui ci si sente tutti più buoni pensando ai lontani, al piccolo nido natale, alle tenerezze della famiglia, alla dolcezza del focolare deserto.
Ecco perché la Casa del Soldato ha sempre e dovunque giovato ed ecco perché può attendersi che – anche in questa piccola gentile città, che ci ospita con deferenza – l’istituzione, guidata dalle mani sapienti delle Signore e dei preposti, abbia il suo rigoglio e serva a dare ai militari, che qui attendono l’ora della loro fortuna, il modo di vedersi, di raccogliersi, e di amarsi, di essere sempre più fermi nel loro coraggio e più forti per il loro destino.
Perché oggi, o signori, oggi, mentre si compie il terzo ritorno del maggio di rose, è necessario unirsi di più, essere più forti, comprendersi meglio. Oggi la miseria politica, le blaterazioni, la vigliaccheria di alcuni partiti che si vantano di predicare la bontà e l’affratellamento, la malvagità dei venduti, l’ipocrisia degli inutili che non hanno nemmeno la visione e la forza di servire la propria idea, oggi la incapacità di alcuni, la perfidia di altri, la tenerezza che ancora si sente in qualche vile verso chi distrugge senza tregua, le piccole stolte propagande segrete, han cercato di annientare l’esercito italiano e han sperato di vendere la Patria, come quando, nelle ore della insonne attesa, un uomo dalle energie rammollite tentava il riscatto.
Ma lo scoramento ha ceduto 8il passo alla resistenza ed il soldato delle undici battaglie ha fermata la fiumana ubriaca e difende la sua Gran Madre, le sue istituzioni, le sue terre, le sue memorie, il suo nome, la sua democrazia. Perché la democrazia d’Italia contro l’autocrazia teutonica la difende appunto il soldato, quello però che imbraccia il fucile e fa scattare il cannone, non i gregari della democrazia intesa a rovescio, perché essa significa volontà di popolo che nel momento del bisogno conosce la via del dovere. E la volontà popolare vera conobbe il suo destino e levò il grido in favore di una guerra resasi necessaria e portò il suo petto nella casa usurpata del nemico. Fu il popolo, e noi fummo con esso, che fra lo sfolgorio del sole e i saluti del mare osannò al trionfo nel nome del poeta soldato che parlò dallo scoglio sacro donde partì il Duce nella notte fortunosa, fu il popolo che chiese al suo capo che seguisse la via dell’onore, fu il popolo che vietò la vergogna di una inazione eterna, fu il popolo che si ribellò al patto vile e sopperì con il suo petto ed il suo sangue alle deficienze che i cosiddetti compagni, i famosi democratici a rovescio, avevano imposto, distruggendo ciò che doveva rendere la Patria temuta.
Noi fummo, perché siamo e saremo sempre col popolo; fummo fra quelli che nelle dolci sere del Maggio olezzante, mentre da gli angoli di tutta Italia la gente sana e le coscienze oneste invocavano il rispetto per i martiri del passato, mentre si evocava la immagine della vittima più pura, di G. Oberdan, noi fummo fra quelli che intesero la vera e grande necessità e le nostre voci sollevarono appunto le masse in nome del bisogno sacro: la compiutezza della Patria; noi intendemmo che la guerra, la grande nemica dell’individuo, ma il mezzo di affermazione di uno Stato, era l’unica ,meta che la sorte c’imponeva…»
 
di Antonio Salvatore