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I messaggi di cordoglio per Montini (terza parte)

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Lettera del Tenente Matteo Caputo del 14° Rgt. Fanteria, che fu testimone oculare della morte di Leopoldo, datata 5 marzo 1916:
 
«SIGNOR MONTINI
...scrive di Lui, dal momento che ebbi il piacere e la fortuna di conoscerlo, mi sembra troppo arduo; perdoni perciò se mi limito a ricordare le gloriose sue gesta dei momenti più critici, nei quali ha saputo dar prova di quel coraggio, che ad alcuni è sembrato temerarietà, e delle virtù più spiccate, che l’avevano precocemente fatto uomo dal cuore nobile, perfetto soldato, amico di tutti, compagno raro. Subalterni a Foggia nella stessa Compagnia, presto i comuni sentimenti si rivelarono e diventammo compagni indivisibili, tanto, senza esaltazione, da esserne geloso che superiori ed eguali lo amassero al pari di me; - diventavo mesto, quando non potevo averlo vicino per esigenze di servizio o altro. Il Capitano ci chiamava i due fratelli. Fu penosa la rassegnazione quando, partito per Pescina in soccorso dei danneggiati del terremoto, non potetti seguirlo. Colà fu esempio di lavoratore instancabile, animato da grande spirito di sacrificio, gli immensi disagi non abbassarono mai il suo morale, e ciò valse a procurargli l’adorazione degli inferiori e gli elogi dei Superiori; - così mi raccontava l’amato allora Capitano Rizzo. Tornato a casa in congedo, non smisi di chiedergli sempre sue nuove. Così venni a sapere della sua andata a Parma, dove sostenne gli esami ad effettivo, riuscendo, in pochissimi giorni di preparazione, ad ottenere quel successo, che è stato immancabile sempre in tutte le cose sue. L’intelligenza, la pervicacia non comune gli avevano ormai tracciato un avvenire invidiabile; - prematuro invece è stato l’apogeo della sua gloria. Dichiarata la guerra, vi entrò col 13° Fanteria, del quale sebbene poco tempo facesse parte, perché presto ritornò fra noi, seppe pure in un primo e pericoloso scontro col nemico (si trovò tra due fuochi) dimostrare coraggio e sapienza tale, da meritare l’ambito encomio. Il suo Capitano del 13° un giorno che c’incontrammo mi manifestò la grande ammirazione per il caro Leopoldo; - poco tempo dopo fu una festa per noi leggendo sull’ordine del giorno la sua assegnazione al 14°. È inutile accennare che ritornò all’8° Compagnia ancora comandata dal Sig. Capitano Rizzo. Per il cimento provava come un senso di voluttà, si seccava che il Battaglione fosse in seconda linea, e, destinato dal Colonnello al carreggio, subordinatamente riuscì a non andarci; - anelava, potrei dire, la prima linea dove sentiva che la sua presenza era necessaria. E fu così! Dopo vari giorni di attesa, il 4 Luglio 1915 al Battaglione venne ordinato l’attacco alle colline di Selz, abilmente difese. I reticolati infatti, ostacolo formidabile, delineatisi in tutta la loro estensione, contribuirono alla non riuscita della prova per quel giorno. Intanto non si poteva rinunziare, si doveva riattaccare; e venuti nella decisione di agevolare l’attacco con l’apertura di varchi nei reticolati, fu l’operazione rimandata al domani. A tale impresa si offrì Leopoldo. Quando con la caratteristica sua calma e fermezza dette gli ordini ai pochi uomini che formavano la squadra dei così detti portatori di tubi, s’incamminò sereno verso la meta. Il sole già alto e cocente non adatto per quelle operazioni servì per dimostrare ai nemici, abituati a combattere all’oscuro, come abilmente e coraggiosamente in pieno giorno Leopoldo sapesse sfidare il sicuro fuoco. Non è possibile descrivere l’emozione provata quando i primi colpi sorpresero la squadra nel momento in cui stava collocando i tubi sotto i reticolati. Si era quasi perduta la speranza della riuscita; ma sotto la ferma volontà di Leopoldo gli eroici portatori non si mossero; - intuì l’ordine dato allorché vidi i portatori strisciare verso i reticolati, dietro esempio del duce; - dovevano accendere la miccia ad ogni costo (che secondi di ansia!) e l’accesero. Uno, due, tre formidabili scoppi provarono la riuscita. Sig. Maggiore, due morti, un ferito che ho fatto trasportare; - tre tubi scoppiati con effetto; - erano queste le novità che l’eroico Leopoldo dava pochi momenti dopo senza un cenno di emozione, col suo sorriso abituale, rivelatore della grande serenità dell’animo suo. Di simili imprese non fu questa l’ultima, perché ne seguirono altre sempre con immancabile risultato, fino al punto di acquistarsi la fama di «specialista e di uomo invulnerabile». Non così pur troppo in quella che fu l’ultima a Monte Sei Busi, dove, pur conscio della sicura morte, sprezzante del fuoco nemico, voleva ancora riuscire ad aprire la porta della gloria al suo Battaglione. Ed io, che potetti vederlo pochi momenti dopo, disteso supino su quel suolo arido del Carso, col sole che rendeva auriferi i suoi biondi capelli, coi pugni stretti e col viso pallido di morte, ma nell’atteggiamento di chi sfida, - io intuii che nella breve sua ultima percezione pensò di dimostrare all’esacrato nemico come si sappia morire. Così rimpianto dagli inferiori, che l’adoravano, e dagli eguali e superiori, che l’ammiravano, la giovine esistenza del caro Leopoldo si spense. A conforto del suo grande dolore Le valga il sapere che in chiunque lo conobbe mai si cancellerà il suo ricordo imperituro e che le sue gloriose gesta saranno sempre ricordate ed additate come esempio. Tenente Matteo Caputo»
 
Lettera del Colonnello Francesco Di Salvi, già Comandante il 2° Battaglione del 14° Rgt. Fanteria, datata 20 dicembre 1916:
 
«GENTILISSIMO SIG. MONTINI
ho ricevuto il prezioso ricordo. La fotografia di suo figlio Leopoldo è qui dinanzi ai miei sguardi attoniti. Egli mi par vivo: io contemplo i Suoi occhi brillanti, espressione della Sua grande anima, la Sua fronte radiosa, la giovanile linea delle Sue angeliche labbra dalle quali non venne mai fuori altra parola che di dolcezza, di soavità e di amore. Quanto grande mi apparve quel giorno, in cui domandando chi degli Ufficiali accettar volesse l’incarico di recarsi a porre i tubi esplosivi, Egli pel primo si presentò! Il più giovane, il più buono, il più dolce, il più amabile fra i miei Ufficiali! Si votava alla morte con piena coscienza del destino che lo attendeva. Io lo vidi più volte con prudente ardimento avvicinarsi ai terribili reticolati nemici, e guidare i suoi soldati con una calma da uomo maturo, sotto il fitto grandinare di espertissimi tiratori, e, fremente di orgoglio esclama: Con tali Ufficiali l’Italia può arrivare dove vuole! Un giorno Lo strinsi al mio seno e Lo proposi per la Medaglia d’argento al valore; - Lo contemplai da vicino ed i Suoi sguardi soavi mi svegliarono alla memoria i noti versi su Garibaldi
È nato da un demonio e da una santa
In un momento che sentiamo amore;
E’ tutto il padre quando il ferro agguanta,
E dalla madre ha la dolcezza in core.
Passarono gli epici giorni di Selz ed Egli rientrò sempre illeso, lieto del dovere compiuto, sempre buono, modesto, docile, disciplinatissimo, pronto sempre ad ogni servizio. Successero i giorni più aspri di Monte Sei Busi ed il suo Leopoldo si mantenne sempre uguale. Più grande era il pericolo, e più Egli appariva calmo. Mai nervoso, mai eccitato. Il dovere era per Lui religione. Il Suo labbro aveva sempre quella compattezza speciale del giovane senza macchia, quel sorriso da bocciuolo di fiore. Più volte ancora dovette recarsi a porre tubi esplosivi; ma io non potevo più seguirlo fino all’ultimo come per lo innanzi, poiché qui, sebbene fossimo ad una distanza di circa 70 metri soltanto dal nemico, il terreno leggermente in salita, dopo una cinquantina di metri, degradava dolcemente verso i reticolati avversari. Quando Egli andava al di là dei 50 metri, i battiti del mio cuore erano come sospesi. Il 18 Luglio la bufera di piombo e d’acciaio imperversò più terribile ed insistente da parte del nemico. Era necessario fiaccare l’ardire, e perciò aprire dei varchi nei di lui reticolati. Il più grande pericolo non trattenne l’Eroe che, più fortemente sentendo in quel momento divampare in sé la fiamma dell’energia Sannita, si accinse al sacrificio. Io lo vidi partire, e, come sempre, l’animo commosso mi si riempì di poesia, di quella poesia popolare che il Parzanese interpretò nel suo «Vecchio Sergente» e che io ascoltai meravigliato da bambino nell’ambiente militare:
Presto avanti e s’andava a battaglia
Come al ballo cantando si va,
Parea pioggia di fior la mitraglia
Rataplan, Rataplan, Rataplan
Aspettai invano il Suo ritorno. Le ore contate minuto a minuto, tra battiti di cuore, da me, dai miei Ufficiali, dalla truppa tutta ai miei ordini sul pensiero di Lui, parvero eterne. Pattuglie inviate alla di Lui ricerca mi riferiscono che Lo avevano visto con le mani attaccate al reticolato, gli occhi rivolti al nemico, in atteggiamento da vivo che aspettasse il momento propizio per eseguire il so mandato. Ma, poiché il Suo corpo continuava sempre a giacere immobile e minaccioso verso il nemico, fu giocoforza dedurre che l’angelo della gloria unitamente a quello della morte avessero voluto comporre le Sue nobili membra in quella posa eroica, di quell’eroismo superiore d’assai a quelle delle omeriche gesta... Caro fiore, Tu passasti rapidamente fra noi, imbalsamando il nostro aere di un eterno profumo! Io ti vedo ancor vivo a me dappresso, soffuso di dolcezza e di gloria. Tu vivi immortale in tutto coloro che Ti conobbero e Ti amarono per le Tue eccelse doti. Gloria al paese che Ti dette i natali; gloria al padre Tuo che Ti dette sangue e vita; gloria alla madre che Ti concepì e Ti portò nel suo seno; gloria, somma gloria a Te!
Gentilissimo e caro Sig. Montini, vorrei dire tanto, ma non sono un letterato, sibbene un uomo d’azione. Ho scritto come il cuore ha dettato, ma ..., «più bello, più nobile, più pieno rimane il mio concetto entro la mente». Col suo affetto di padre voglia lei supplire alla mia manchevolezza ed accettare di buon grado queste poche righe la cui calligrafia rivela l’emozione e qualche lacrima versata, e le siano pegno del mio imperituro affetto pel suo caro Leopoldo.
Ossequi alla sua gentilissima Signora e mi creda con affetto, Colonnello Francesco Di Salvi, già Comand. il 2° Batt. del 14° Fanteria»
 
di Antonio Salvatore