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Intervista al direttore di Embedded Agency in uscita con il suo nuovo racconto

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Le Cirque de la Guerre e altri racconti è l’ultimo lavoro del direttore di Embedded Agency, Roberto Colella, pubblicato da Palladino Editore. Ancora una volta, l’autore, Roberto Colella, giornalista di guerra e docente di Terrorismo Internazionale, ci porta in una dimensione quasi onirica e fantasiosa, che vede protagonisti alcuni bambini vittime di guerra, che daranno vita, con l’aiuto di Monsieur Dupont, ad un vero e proprio circo speciale. Non a caso, come dice la quarta di copertina: “I sogni dei bambini finiscono tutti sotto un’unico tendone”.

Dottor Colella, ci può dire, da cosa sono scaturiti questi racconti?

Allora, in realtà, “Le Cirque de la Guerre” è un’idea nata all’interno dell’Officina dello Scrittore, situata a Matrice (CB). Nel racconto i protagonisti sono dei ragazzi, ragazzi che trascorrono la loro quotidianità in contesti difficili. Un esempio su tutti, l’equilibrista di Bujumbura, la capitale del Burundi, piccolo stato africano nella regione dei Grandi Laghi che ha vissuto una guerra civile durissima durata 13 anni dal 1993 al 2006.

Quanto i suoi reportages di guerra hanno influenzato questo testo?

Beh, lo hanno influenzato moltissimo, soprattutto alcuni racconti che sono contenuti nel libro, in particolare, uno, “Il rugbista di Beit Jala”, che narra la nascita della prima squadra di rugby in Palestina. Questo racconto in particolare è stato recensito anche dalla Gazzetta dello Sport, da Sky Sport, da Ugo Francica Nava giornalista sportivo de La 7, così anche da Franco Di Mare, giornalista di Rai 1. E’ ovvio, che per raccontare di guerra, bisogna vivere e conoscere le esperienze che si vuole raccontare, non a caso, un grande maestro come Kapuscinski ci diceva che il vero reporter è quello che dorme, mangia, beve con i personaggi delle sue storie.

I bambini che oggi popolano le zone dove ci sono in atto guerre, possono diventare i terroristi di domani?

E’ un problema serio quello legato all’infanzia nei contesti di guerra, nel senso che l’odio verso il nemico lo si può reprimere, così come si può trasformare in qualcosa di orribile, per arrivare ai bambini soldato, vittime psicologiche della guerra e di uomini senza scrupolo. Certamente, chi vive in un contesto bellico, vive soprattutto un’infanzia difficile, già segnata da morte e povertà.

di Domenico Pio Abiuso